RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

Damsels in Distress

31 luglio 2012

Damsels in Distress

Damigelle sull'orlo di una crisi di nervi: tra vezzi parodistici e olezzi cinefili, Whit Stillman non esalta

Un college, tre ragazze avvenenti, un'altra appena trasferitasi da una città lontana, le rivalità tra confraternite, i patimenti sentimentali per maschietti più o meno appetibili. No, non è il solita  scialba teen-comedy,  Damsels in Distress, film di chiusura al 68esimo Festival del cinema di Venezia,  un po'comedy of manners, un po' screwball, un po'  musical, è piuttosto una parodia sofisticata del  genere, che mette alla berlina le ipocrisie della società americana con tanta disincantata ironia. Quarto film scritto e diretto da Whit Stillman, già autore della trilogia  sulle contraddizioni dei giovani WASP (Metropolitan ,1990; Barcelona, 1994; The Last Days of Disco,1998)  e un talento innato  per la sceneggiatura, torna nel mondo dei giovani universitari per mettere in scena un'anomala  rivoluzione all'interno di un campus, guidata da una  paladina della pulizia, la Pasionaria Violet (la diva del cinema indipendente Greta Gerwig, quella dello Stravagante mondo di Greenberg), e dalle sue compagne, le altrettanto brave Megalyn Echikunwoke, Carrie MacLemore e Analeigh Tipton. Una missione sociale contro le puzze acri mascoline, contro la depressione dilagante, da  condurre a suon di balli redentori e saponette dai profumi inebrianti, tra atmosfere vintage, dialoghi brillanti e citazioni cinefile disseminate in ogni dove (da Vacanze romane  a 2001 Odissea nello spazio). Un omaggio all'illusione del cinema , un gioco delle parti  tra architetti delle idee che inventano altri mondi per sopravvivere, con il rischio di perdere il controllo, soprattutto se le corrispondenze algebriche dell'amore non quadrano. Soprattutto quando ci si confronta con le diverse tipologie di maschi (nel cast c'è anche Adam Brody). Damsels in Distress va giù liscio come cocktail doppio ghiaccio dopo una giornata di sole bollente. Forse allungato con qualche artificio dialettico di troppo, ma cosa ci potremmo aspettare da un ex studente di Harvard con la passione per la dissertazione filosofica?

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