RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

Qualche nuvola

26 giugno 2012

Qualche nuvola

Sorprende lo sguardo del deb Di Biagio sulla periferia romana, teatro di scelte che si vorrebbero rimandare all'infinito

Qualche nuvola si addensa all'orizzonte del matrimonio tra il muratore Diego (Michele Alhaique) e la fidanzata Cinzia (Greta Scarano): galeotto un lavoro di ristrutturazione nel monolocale della bella Viola (Aylin Prandi). Un piccolo evento che mette a nudo le grandi incertezze di Diego, messo di fronte a un futuro che pare già scritto... dagli altri, o meglio dalle altre: Cinzia, sua madre, la madre dello stesso Diego. Quel matriarcato che in periferia, come e più che altrove, bada al sodo e ben poco ai voli pindarici.Presentata alla 68. Mostra di Venezia (Controcampo italiano), la commedia di Saverio Di Biagio, all'esordio dopo una lunga carriera da aiuto regista, ha un tocco lieve e uno sguardo non banale sulla realtà che descrive (il quartiere romano del Quadraro, periferia romana ancora non "sdoganata" dai trend cinematografici). L'affetto verso i personaggi che descrive non scade mai nel manicheismo o nel facile abbozzo: non c'è torto o ragione, tra un protagonista in bilico tra due mondi lontanissimi e un'umanità convinta che la vita si esaurisca all'interno dei propri confini di appartenenza, in appartamenti ristrutturati poco distanti dai propri genitori, questi ultimi specchio di una storia che sembra ripetersi senza appello. Il cast è ispirato e in parte, dai bravi protagonisti fino ai contributi di Michele Riondino (l'amico sacerdote), Primo Reggiani (amico "traffichino" di Diego ed ex fiamma di Cinzia), Pietro Sermonti (un cinico, disincantato costruttore) e di Elio Germano (per lui un ironico cameo, nei panni di un venditore di mobili), all'apporto di caratteristi come Giorgio Colangeli e Paola Tiziana Cruciani, abili prosecutori della tradizione della commedia all'italiana.Tutti rendono alla perfezione quella vena agrodolce, quel senso di frustrazione che a un tratto, da individuale, sembra farsi collettivo, per poi stemperarsi felicemente nell'ironico finale: un invito a provare sempre e comunque a vivere un'esistenza diversa dalle altre, e assieme un'accettazione della vita per quella che è. Disastrosa, lontana anni luce dai propri sogni, ma concreta e reale. Al punto tale da volerle bene, perché è l'unica che si possiede davvero.

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