RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Shrek e vissero felici e contenti</i>

25 agosto 2010

Shrek e vissero felici e contenti

Il simpatico Orco se ne va in grande stile e in 3D. Combattendo per ritrovare la "bistrattata" routine familiare

È tornato Shrek, l'orco verde le cui orecchie a tromba e piene di cerume sono il simbolo dell'animazione DreamWorks esattamente come quelle tonde di Topolino sono icona della Disney e questa volta, la prima in rigorosa stereoscopia 3D, dovrebbe essere l'ultima. Shrek e vissero felici e contenti di Mike Mitchell, quarto capitolo della fortunata saga in computer grafica avviata nel 2001, rilancia il personaggio nell'unico modo possibile, dopo il mezzo passo falso del terzo episodio: reinventandolo con un escamotage narrativo che conduce in un universo alternativo. Shrek è mostrato in preda ai turbamenti legati alla "normalizzazione" della sua condizione di marito e padre felice, un po' come succedeva al protagonista de Gli incredibili di Brad Bird, frustrato dalla desolante normalità della sua vita senza costume da supereroe. Nel film di Mitchell, il gigante verde si sente addomesticato, vorrebbe tornare alla sua natura di orco e rimpiange i tempi in cui il suo ruggito era sufficiente per garantirgli la beata solitudine nella palude. Desideroso di recuperare le emozioni perdute, Shrek si fa ingannare e firma un patto con il mellifluo Rumpelstiltskin (da noi Tremotino) che lo catapulta in una versione alternativa di Molto Molto Lontano, dove gli orchi sono banditi, Rumpelstiltskin è re, protetto da un nugolo di feroci streghe e, soprattutto, Shrek e Fiona non si sono mai incontrati.Raccontare altro della trama sarebbe criminale, ma il mondo alternativo permette agli animatori di sbizzarrirsi dando vita nuova a ogni personaggio (assolutamente geniale la versione ingrassata di Gatto con gli Stivali), mentre l'utilizzo del S3D è giocato in modo esasperato per un'autentica montagna russa visiva, efficace negli inseguimenti volanti con le streghe a cavallo delle scope. È una scelta stilistica antitetica all'idea di S3D come "finestra sul mondo" perseguita da Cameron in Avatar (giocato soprattutto sulla profondità di campo), ma che garantisce emozioni agli spettatori, "colpiti" dagli oggetti e personaggi che balzano fuori dallo schermo.

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