RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it
04 agosto 2010
Pietro
Non convince Daniele Gaglianone. Che inquadra un poverocristo in un film povero, troppo povero
Dopo Rata nece biti – La guerra non ci sarà, Daniele Gaglianone torna alla regia con Pietro, in concorso al Festival di Locarno, prodotto da Gianluca Arcopinto e distribuito da Lucky Red. Un autore – sì, lo è – che ci è sempre piaciuto, Gaglianone, capace di offrire uno sguardo resistente sulla Resistenza nell'esordio I nostri anni (2000) e di intercettare delirio psichico e riflessione meta-cinematografica con Nemmeno il destino (2004). Purtroppo, Pietro rappresenta un passo falso e speriamo non un'involuzione: palesemente low-budget, dichiaratamente indipendente, girato in digitale con quella Red che oggi va per la maggiore, il film inquadra Pietro (Pietro Casella), un "semplice" che distribuisce volantini per due lire e vive in un appartamento fatiscente con il fratello Francesco (Francesco Lattarulo, con Casella sono i comici Senso D'Oppio), tossico alla mercé del pusher NikiNiki (Fabrizio Nicastro). Fenomeno da baraccone per fratello e amici (altrui), angariato dal capo, risollevato forse da una ragazza, Pietro dimostrerà che nel loro piccolo anche i povericristi s'incazzano… Viceversa, Pietro dimostra che la bontà di una tesi – la violenza della società contro gli "ultimi" – non fa buono un film: bloccato, sordo e privo di empatia.
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