SCHEDA FILM

LA PRIGIONIERA DEL DESERTO

Anno: 1990 Durata: 100 Origine: FRANCIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:-

Tratto da:-

Produzione:LA SEPT - ROGER DIAMANTIS - FILS SAINT-ANDRE DES ARTS J.B. FETOUX - SGGC J.C. LARGUIER - TITANE

Distribuzione:BIM DISTRIBUZIONE - EMPIRE VIDEO, CECCHI GORI HOME VIDEO

TRAMA

CRITICA

"Colpisce soprattutto la tecnica. La macchina da presa non si muove mai, le immagini, perciò, sia da vicino sia da lontano, sono sempre ferme e al loro interno, in tempo reale, si verificano i fatti: la lunga carovana con nomadi e cammelli che entra ed esce di campo, vista spesso anche solo di sfondo, i suoni che, ripresi in diretta, propongono soltanto qualche rumore di passi nella sabbia o qualche sordo brontolio di cammelli, con le voci umane ridotte al minimo, con una comunicazione scarsissima e quasi primitiva fra la prigioniera ed i nomadi: senza che non succeda mai nulla, salvo il sorgere e il calare del sole, l'arrivo ad un'oasi, la ricerca dell'acqua, la distribuzione del cibo... per un po' si è conquistati. Il deserto che scaturisce da tutta quell'immobilità, i rapporti solo allusi che si allacciano fra la donna ed i nomadi, il senso stesso del passaggio lentissimo del tempo, hanno una loro indubbia suggestione. Alla lunga, però, la ripetitività a fatica, le immagini sempre così fisse, anche se figurativamente molto intense e molto ricche, smorzano ogni interesse e il film, nonostante le sue scoperte ambizioni di stile, non tarda a ridursi ad un album di fotografie. Belle ma spente. Né le accende come prigioniera, Sandrine Bonnaire, tanto vivida in 'Senza tetto né legge'. Qui è solo e sempre in posa, immota come il resto." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 17 Maggio 1990) "E' un film contemplativo di bellezza ascetica quasi insopportabile non tanto per la rinuncia a spiegazioni aneddotiche e agli stereotipi avventurosi o melodrammatici delle storie di prigionia, quanto per il partito preso estetico al quale il regista-fotografo s'è tenuto fedele con ostinato rigore. Non c'è un movimento di macchina in 98 minuti. Le inquadrature sono immobili, legate alla "durata", i dialoghi ridotti al minimo, quasi a far sentire e vibrare il silenzio del deserto. E la cinepresa lo scruta nelle sue infinite increspature come se fosse un volto umano in primo piano e si sofferma sul viso di Sandrine Bonnaire come se fosse un paesaggio desertico. A film finito - se ci si è abbandonati al suo incanto invece che alla noia, alla fretta, all'insofferenza - se ne comprende la complessità. Non è soltanto un rapporto contemplativo sulla vita nel deserto: caldo e freddo, sole e ombra, fame e sete, fatica del camminare sulla sabbia o tra le rocce, tutti i colori dell'azzurro, dal bianco celeste al blu nero. E' anche un'analisi del rapporto tra un ostaggio e i suoi carcerieri, un confronto tra due culture e due razze, una presa di contatto e di conoscenza con la diversità." ('Il Giorno', 15 Luglio 1991) "Per trasferire nell'immaginario i colori del deserto, il cinema occidentale ha soprattutto scomodato i ritmi spettacolari dell'epica, raggiungendo con 'Lawrence d'Arabia' un archetipo difficilmente superabile. Depardon, professione reporter e fotografo, chasseur d'images negli angoli scomodi del mondo e delle metropoli, ha scelto un'altra strada, in diretta, vivendo per dodici settimane con una troupe ai minimi termini ed un'unica attrice professionista nel deserto del Tibesti, fra Ciad e Niger, per raccontare il vuoto e la solitudine di un'avventura metafisica. (...) Con la macchina da presa affondata nella sabbia, l'occhio di Depardon registra in ampie sequenze i pensieri e le cose, questa colorata carovana d'insetti umani smarriti nel deserto, e riesce, con tocco bressoniano, ad animarli d'inquietudine." ('Vivilcinema')

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