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17 maggio 2006

Le bugie di Dan Brown

a cura di Cinematografo.it

Il Codice da Vinci "non ha alcuna attendibilità storica". Lo dice lo storico Franco Cardini

Il successo – planetario - è scontato. La Sony, dopo aver messo sul piatto 125 milioni di dollari, pensa di incassarne globalmente 800. Il film apre oggi la cinquantanovesima edizione del festival di Cannes ed esce il 19 maggio in tutto il mondo. Tre i protagonisti: Ron Howard in regia, Tom Hanks nei panni del professore Robert Langdon, Audrey Taotou in quelli della crittografa Sophie Neveu. Unica l'origine: il bestseller omonimo di Dan Brown, Il Codice da Vinci. A decrittarlo abbiamo chiamato Franco Cardini, professore di storia medievale all'Università di Firenze, saggista e romanziere.Sono sostenibili storicamente le tesi prospettate dal Codice da Vinci di Dan Brown e ora trasposte nel film omonimo di Ron Howard?Non vi è alcun rapporto con la realtà storica. L'Opus Dei di cui parla Dan Brown è inesistente, i documenti storici che presenta, come quelli riguardanti il cosiddetto Priorato di Sion, sono falsi acclarati da almeno trent'anni. La confusione che Brown fa tra i manoscritti ritrovati nell'oasi egiziana di Nag Hammadi, che sono testi gnostici, e quelli trovati a Qumran sul Mar Morto, che sono testi essenici, non può legittimarsi in una ricostruzione fanta-storica. Certi dati vanno rispettati, altrimenti anche il divertissement semi-storico cade. Dove ha sbagliato Dan Brown?Dan Brown è responsabile di due gravi colpe. Primo, aver infranto le regole della pseudo-storia che prevedono l'inserimento dell'invenzione in una realtà storica verosimile e accuratamente ricostruita. La seconda, pesantissima, colpa è l'aver sostenuto in una pagina introduttiva - ancora presente nelle edizioni in lingua inglese, mentre in Italia Mondadori l'ha stralciata - che il Codice è basato su documenti storici. Questa non veridicità storica è percepita dal lettore/spettatore o queste tesi vengono assorbite inconsciamente?Il problema fondamentale non sono le tesi di Dan Brown, ma la debolezza culturale e intellettuale della nostra società. E da questo punto di vista si può fare molto poco. Il Codice può essere considerato un'opera programmaticamente anti-cattolica? Non penso che sia anti-cattolico tout court, ma che con qualche furbizia Dan Brown si sia inserito in un filone letterario esoterico-scandalistico e nel contesto politico post-11 settembre, in cui le relazioni tra gli Usa neo-con di George W. Bush e la Santa Sede erano molto deteriorate - a tal punto da farmi pensare allo zampino dei servizi segreti americani nella serie di scandali di pedofilia che ha colpito il clero statunitense. Qual è l'operazione di Brown?In quel momento storico esce Il Codice da Vinci e colpisce una delle istituzioni cattoliche notoriamente più care a Giovanni Paolo II, l'Opus Dei, e riprende in chiave femminista new age il discorso sulla religione primitiva, legata all'autocrazia delle donne, riferendosi senza citarla alla fondatrice del femminismo antropologico Margaret Alice Murray, egittologa, famosa per il pamphlet Il dio delle streghe. Egittologo è pure Robert Langdon (Tom Hanks), il protagonista del Codice.Ebbene, Langdon - e qui mi irrita la miseria culturale del lettore - per spiegare il rapporto fra il principio femminile e quello maschile nella cultura egizia antica ricorre allo ying e allo yang, come la ragazzina che vende essenze di fronte a casa mia. L'anglista Dan Brown non è Umberto Eco, ma sa che la cultura dell'erborista è molto diffusa. Furbizia, dunque?Per parlare del potere delle madri Brown non scomoda Bachofen, ma prende il bestseller della Murray, che è la bibbia di un femminismo chic molto anti-cattolico. E lo fa nel momento in cui Bush ha il consenso più vasto, immaginando l'Opus Dei quale sorta di Spectre. Il successo del Codice è di matrice politica: mi meraviglio che non sia stato percepito.In questo scenario quali effetti sortirà la trasposizione di Ron Howard?Il film contribuirà a rinfocolare vecchi equivoci: la gente preferisce essere ingannata.

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