RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

18 settembre 2013

Via Castellana Bandiera

Sorprendente esordio di Emma Dante: uno "stallo" che non fa prigionieri, metafora di un paese impantanato

"Ci vuole del coraggio, e una certa dose d'impazienza": gli Offlaga Disco Pax non c'entrano nulla, ma l'esordio sul grande schermo della regista teatrale Emma Dante può far venire in mente - parafrasandolo - il passaggio di Tulipani, canzone dedicata dal gruppo reggiano all'olandese Johan Van der Velde, grande protagonista della tappa del Gavia del Giro 1988. "Coraggio", perché tradurre per il cinema Via Castellana Bandiera (romanzo scritto dalla stessa Dante, edito da Rizzoli nel 2009) è già di per sé un'idea che poteva presentare più di qualche insidia; "impazienza", la stessa che - immaginiamo - ha condizionato la regista siciliana nel mettere in scena quella che, a tutti gli effetti, è una metafora neanche troppo velata sul pantano in cui ci troviamo da qualche tempo: una domenica pomeriggio qualsiasi, nel caldo torrido di Palermo, due autovetture si ritrovano muso contro muso in un budello di strada, Via Castellana Bandiera appunto. Rosa e Clara (Dante e Rohrwacher) da una parte, la numerosissima famiglia Calafiore dall'altra, con al volante l'anziana Samira (Elena Cotta): basterebbe che una delle due macchine facesse qualche metro in retromarcia per permettere all'altra di procedere, ma non se ne parla. Rosa e Samira hanno deciso di sfidarsi in un duello che non prevede prigionieri, e la situazione di stallo assume con il passare dei minuti contorni sempre più grotteschi, poi drammatici.Il film di Emma Dante sorprende per la ricerca mai artificiosa di un linguaggio che si mischia, anche esteticamente, al territorio, reso quanto mai naturale dalla prova di tutti gli interpreti secondari, quasi tutti provenienti dalla Compagnia Sud Costa Occidentale della regista, più le due "scoperte" Renato Malfatti (il carismatico e massiccio genero di Samira), nella vita parcheggiatore dell'Arenella, e Dario Casarolo (minorenne palermitano che interpreta il nipote della donna). Un atipico western governato dal gentil sesso, con gli uomini convinti di poterne manovrare le gesta (al punto di organizzare anche delle scommesse "pilotate" sull'esito della sfida...): il muro contro muro, però, non si risolverà così facilmente. Perché da una parte c'è quello che la stessa Dante definisce un "frangiflutti", Samira, muta per tutto il film (ma resa fortemente espressiva dalla gestualità e dagli sguardi dell'ottima Elena Cotta, premiata con la Coppa Volpi a Venezia), monolite al di sopra di ogni cosa, immobile anche di fronte al corso degli eventi, portatrice di un ostruzionismo (quello del quartiere) che prende le mosse da una "questione di principio"; dall'altra una donna, Rosa, tornata controvoglia (e per sbaglio) nei vicoli della propria infanzia, bloccata in una situazione - anche sentimentale, con Clara - che la vede impossibilitata a scegliere: davanti a lei c'è il crash, alle spalle un precipizio (letteralmente). Basterebbe fare una piccola "manovra", ma retrocedere da un'impuntatura - a volte - è più facile a dirsi che a farsi. Bellissimo il finale, camera fissa sulla via popolata dalla corsa affannata e sgraziata dell'intero quartiere, contrappuntata da Cumu è sula la strata dei fratelli Mancuso: chapeau.

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