RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

The Reluctant Fundamentalist

11 giugno 2013

Il fondamentalista riluttante

Mira Nair rilegge Mohsin Hamid: un discreto thriller politico, con buoni attori e tocco femminile

Changez (Riz Ahmed) si racconta a un giornalista americano, Bobby (Liev Schreiber), a Lahore, Pakistan. E si racconta 10 anni dopo l'11 settembre, il punto di rottura tra il suo sogno americano e il richiamo del Pakistan, tra famiglia e tradizioni. Tratto dal bestseller omonimo (Einaudi) di Mohsin Hamid, The Reluctant Fundamentalist è diretto dall'indiana Mira Nair, chiamata l'anno scorso ad aprire fuori concorso la 69. Mostra di Venezia. A grandi linee, un thriller politico-sentimentale, appoggiato sulle spalle dell'ottimo Ahmed, rapper e attore anglo-pachistano: giovane e brillante, il suo Changez brilla a Princeton, poi splende a Wall Street, infine, si innamora della bella e facoltosa Erica (Kate Hudson). Davvero un sogno, finché gli aerei che entrano nelle Torri Gemelle - visti alla tv mentre si trova nelle Filippine per lavoro - non lo trasformano in incubo, denso di interrogativi esistenziali: da che parte sto e, ancora, chi sono? E' la sopraggiunta fobia anti-islamica a scegliere per lui: Changez è costretto a ritornare in Pakistan, dove abbraccia la carriera universitaria e - parrebbe - simpatizza con i fondamentalisti. Un professore americano viene rapito, forse Changez ne sa qualcosa, comunque, davanti al registratore di Bobby si racconta, chiedendo ascolto "dall'inizio alla fine, senza interruzioni".Nelle nostre sale con Eagle, The Reluctant Fundamentalist è fedele espressione del cinema di Mira Nair, già Leone d'Oro nel 2001 con Monsoon Wedding: cinema solido, votato a uno spettacolo pensante, senza picchi di regia, ma ben strutturato e confezionato, con particolare attenzione alla direzione degli attori - bravi tutti, da Ahmed al suo capo a WS Kiefer Sutherland - e gusto musicale (melodie pachistane vecchie e nuove, soundtrack di Michael Andrews). E solido è anche l'appiglio, filtrato ovviamente dalle pagine di Hamid, allo scenario geopolitico attuale, quello di un post 9/11 senza fine: il dilemma e la dialettica interiore di Changez, capaci di interrogare un pubblico globale, già a partire dalle location a Lahore, Dehli, Istanbul, New York a Atlanta. Soprattutto, la regista non ha fretta, dipana i rovelli di Changez con calma e ampiezza, affidandone il decisivo controcanto a Erica, vera cartina di tornasole emotiva e emozionale del film. E' il feminine touch, pregevole, idiosincratico trademark della Nair.  Non si può chiederle di più, anzi, proprio il titolo Il fondamentalista riluttante dice bene della sua poetica: non una contraddizione, in realtà, ma la "giusta" via di mezzo tra autorialità e consumo. Forse, nelle parole di Changez, "il sogno pachistano".

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