RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it
13 settembre 2012
Gli equilibristi
Ivano De Matteo racconta l'emergenza dei padri separati: simpatetico, onesto, con un Valerio Mastandrea super
Giulio (Valerio Mastandrea), 40 anni, impiegato al Comune di Roma, casa in affitto, auto a rate, una figlia rockettara, una bambino trasparente e una moglie (Barbora Bobulova). La ama, ma l'ha tradita: una scappatella con una collega. Scoperto, i due provano a rimanere insieme, ma lei non ce la fa, Giulio se ne deve andare. Prima dalla madre di un amico, poi in una pensioncina vicino alla stazione di Termini, ma è solo l'inizio della fine: i soldi non bastano mai, apparecchio ai denti per il piccolo, Barcellona per la figlia, le rate, la mala vita dei povericristi… Prima un doppio lavoro, con frutta e verdura scaricate la notte, poi la fuga dalla pensione, le notti in macchina, la mensa della Comunità di Sant'Egidio… Che ne è di papà?Domanda buona per Gli equilibristi di Ivano De Matteo, che scrive con Valentina Ferlan, già in Concorso agli Orizzonti di Venezia e ora in sala con Medusa. Un dramedy, per dirla all'americana, che potremmo considerare il versante serio, ovvero drammatico e simpatetico, di Posti in piedi in Paradiso: la separazione e i suoi fratelli coltelli, affidati a un Mastandrea in stato di grazia. E' difficile resistere alla sua discesa agli inferi, che non ha nulla di patetico e urlato, solo il lento declino della realtà, la sua condizione di padre solo: una colpa, una scappatella, e una vita intera per pagarla, fino all'indifferenza, all'abulia, al no future dei clochard. De Matteo, con un occhio al grande pubblico (non necessariamente strizzato), indora la pillola, sfornando battute romanesche e simpatici siparietti, ma il dolore c'è e la regia - con qualche parentesi estatico-stilosa incongrua - si accoda compunta. Se il divorzio - sentiamo - è per i ricchi, per i poveri c'è la solidarietà, e la camera indaga tra i bassifondi multietnici capitolini, dove Giulio si lascia andare. Peccato per le musiche invasive di Francesco Cerasi, ma Gli equilibristi ha un suo pregevole equilibrio: non è questione di sensi di colpa atavici o cattolici, ma prima di (dis)fare penserete a Mastandrea su quella panchina, fesso e senza più un senso. Solo come un cane, solo come un padre solo.
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