RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

Post Tenebras Lux

24 maggio 2012

Post Tenebras Lux

Talento visivo cristallino e totale mancanza di dialogo con lo spettatore: le contraddizioni di Reygadas in Concorso. Prendere o lasciare

Juan (Adolfo Jiménez Castro) e Natalia (Nathalia Acevedo) vivono con i due piccoli bambini (Eleazar e Rut, figli del regista nella realtà) in una villetta inghiottita dalla fitta vegetazione della campagna messicana. Lasciati alle spalle il lusso, l'agiatezza e i vizi di una vita precedente, si mischiano con la natura, gli animali e gli abitanti dei dintorni. Ma questi due universi - complementari e respingenti - finiranno per combattersi. Cercando di eliminarsi a vicenda.Il talento di Carlos Reygadas è cristallino, purissimo. Per capirlo, basta il prologo di Post Tenebras Lux, con la piccola Rut al tramonto che corre in una vallata infangata tra mucche e cavalli al pascolo, insieme ad un gruppo di cani: il regista ricorre all'ormai desueto aspect ratio 1:37.1 (lo stesso che un paio d'anni fa Kelly Reichardt adottò per il suo splendido Meek's Cutoff), con lenti che trasfocano i contorni dell'immagine e solamente in quei pochissimi minuti costruisce una pagina di cinema indimenticabile, con il buio che poco a poco inghiotte lo schermo e la piccola attrice, illuminati a intermittenza da alcuni minacciosi lampi in lontananza.Poi inizia il film e, con lui, arrivano i soliti problemi legati alle opere del regista messicano: sarebbe facile e sbrigativo accantonare il film definendolo "criptico" (e non sarebbe neanche una così grande bugia), in realtà il vero difetto di Post Tenebras Lux va ricercato nell'incapacità di allontanare la noia con i tanti guizzi di cui il film stesso vive. Il fascino di alcune situazioni è indiscutibile (la silhouette fluorescente del diavolo che compare all'inizio e alla fine del racconto, l'immagine dei due fratelli ormai grandi che, al mare, si dissolve con loro tornati a bambini a giocare), l'ossessione di Reygadas nei confronti del sesso è ancora una volta immancabile (la scena della sauna è lì a dimostrarlo) e il discorso sull'imponenza e la fragilità della natura è reso visivamente in maniera meravigliosa. Manca totalmente il dialogo con lo spettatore, però, costretto comunque a seguire le fila di un percorso - quello di Juan e Natalia - che nella parte centrale del film si fa sempre più confuso, tra flashback e flashforward, con inserti francamente incomprensibili (i ragazzini britannici che, chissà dove, stanno giocando a rugby) e passaggi di una pesantezza temibile. Dura due ore, forse ne bastava una.

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dal 21 al 24 maggio

Incasso in €

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