RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

Javier Bardem in <i>Biutiful</i>

03 febbraio 2011

Biutiful

La prima di Inarritu senza Arriaga: racconto lineare e buona messa in scena, bravo Bardem. Ma il ricatto emotivo è sempre dietro l'angolo

Barcellona. Uxbal (Javier Bardem) ha un dono: sente la voce dei defunti ed è in grado di sostenerli durante il percorso verso l'aldilà. Per farlo, ogni volta riceve offerte spontanee dalle persone che hanno perso i propri cari. Sarebbe troppo poco, però, per il mantenimento dei suoi due bambini, Mateo e Ana, cresciuti dal padre perché la mamma (Maricel Alvarez), donna disturbata, non vive più con loro. Per questo Uxbal si guadagna da vivere facendo da intermediario tra la mala cinese e i venditori ambulanti africani. L'ombra della morte inizia però a stringersi su di lui: malato di cancro, con soli due mesi da vivere, l'uomo inizierà a pensare a quale futuro lascerà in eredità ai figli.Atteso con molta curiosità alla prima prova da regista senza lo sceneggiatore abituale Guillermo Arriaga, il messicano Alejandro Gonzalez Inarritu non fa particolare fatica a dimostrare le proprie, indiscutibili qualità da regista, relative principalmente alla messa in scena e alla direzione degli interpreti (Bardem su tutti, premiato a Cannes e nominato all'Oscar). Ma conferma ancora una volta quanto, alla base del suo cinema, il ricatto emotivo finisca per prendere il sopravvento su ogni cosa: si parta dal titolo scelto per il film, Biutiful, che trova spiegazione quando la bimba chiede al padre come si scrive la parola "Beautiful", da utilizzare per un disegno che anticipa il miraggio di un ritrovato equilibrio familiare, e si prosegua per tutta una serie di calcolate soluzioni drammaturgiche, che definire colpi bassi è poco (vedi il fatto di metterci al corrente che Marambra è la moglie di Uxbal solo dopo averla vista amante del fratello di lui, o la morte collettiva di un gruppo di lavoratori cinesi causata dalla fuga di gas di una stufa comprata il giorno stesso, e con le migliori intenzioni, dal protagonista...).A cambiare davvero, rispetto ai tempi di Arriaga (Amores Perros, 21 grammi e Babel) è il gusto ritrovato per una narrazione non più costruita sull'intreccio e la sovrapposizione di vari piani temporali, comunque circoscritta da "un'inevitabile", didascalico finale circolare: linearità del racconto che coincide con il percorso e la figura monocorde del personaggio centrale, sensitivo al punto di incontrare se stesso a galleggiare sotto il soffitto di casa per uno dei tanti, troppi, "ultimi saluti" del film. Che riesce però a descrivere con insolita efficacia l'underground e gli ambienti "sporchi" di Barcellona, città che sul grande schermo è stata quasi sempre raccontata da altri punti di vista.

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