RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it
27 gennaio 2011
Il discorso del re
Il "balbuziente" Colin Firth al servizio del ritrattista di corte Tom Hooper: 12 nomination agli Oscar, da applausi
Se fosse un pittore dei secoli andati, Tom Hooper sarebbe un ottimo pittore di corte. Serio e simpatetico con le figure storiche che incarnano il potere o che sono inverate dai meccanismi della politica. Un ritrattista, che pur amando le persone in posa davanti a lui, non vuole compiacerle fino ad idealizzarle o celarne le debolezze. Il balbuziente Bertie-Giorgio VI d'Inghilterra de Il discorso del re come, nelle recenti esperienze tv del regista, il secondo presidente USA, John Adams, interpretato da Paul Giamatti e Elizabeth I con l'ammirevole Helen Mirren, o, scendendo tra gli umani, il manager-allenatore di calcio Brian Clough (Il maledetto United) sono personalità della Storia da osservare anche nelle pause, nello stallo preliminare a scelte che sembrano sovrastarli.Hooper è attratto dagli interstizi tra la sfera pubblica e le tagliole della sfera privata. Il potere, visto da vicino, è meno scintillante quando la compassata ritualità cerimoniale diventa rappresentazione mediatica. La balbuzie di Giorgio VI, la collisione tragica tra i suoi pensieri e l'ingorgo delle parole diventano gravi (siamo alla vigilia della II Guerra Mondiale) perché il potere si esercita, si esprime, si rafforza attraverso la comunicazione diretta e a distanza. Il microfono della radio è come la spada di Excalibur, lo scettro e la corona. Salito al trono dopo che il fratello Edoardo VIII (Pearce) decide di abdicare per amore, Bertie (magnifico Colin Firth, premiato con il Golden Globe e candidato all'Oscar) si affida alle cure poco ortodosse del logopedista Logue (Geoffrey Rush). I due formano una strana coppia inseparabile che duella, litiga, si studia con sospetto. Sui loro incontri, sulla loro amicizia non convenzionale, durata tutta la vita, e su un uso, talvolta insistito, dei grandangoli, si poggia questo film dalla fotografia volutamente poco regale, con una musica non occasionale e un coro di personaggi cesellati con cura. La familiarità con la serialità televisiva consente al regista di focalizzare l'azione sul dialogo e sulle linee geometriche lungo le quali tutti gli attori devono dislocarsi. 12 nomination agli Oscar, tra cui miglior film e miglior regia.
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