RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it
03 dicembre 2010
Small Town Murder Songs
Tra Ellroy e McCarthy, il noir esistenziale del canadese Ed Gass-Donnelly: in Concorso, per vincerlo?
Una bella donna cadavere, una bella donna ancora amata, un uomo braccato da se stesso. E' un triangolo vivo-morto-x, e in mezzo c'è l'occhio di Dio, che scrive a tutto schermo di porgere l'altra guancia, e non solo: sono quattro capitoli biblici, ma non confessionali. L'uomo è un poliziotto, con un passato-presente di violenza e passione e un presente-futuro (?) di redenzione, anzi, negazione di sé, ispirata dalla "conversione" al cristianesimo evangelico: riuscirà a indagare sull'omicidio e a non perdersi? Interrogativi esistenziali e generici (noir) insieme, che piombano sul concorso del 28° Torino Film Festival con bandiera canadese: Small Town Murder Songs, opera seconda di Ed Gass-Donnelly, classe 1977, già passata da Toronto. Come titolo vuole (l'album Small Town Murder Scene dei FemBots), la musica gioca la sua parte, eccome: senza esagerare, potremmo dire che il film è la colonna visiva della soundtrack. A più riprese le immagini si zittiscono, e risuona il Vangelo, ovvero il gospel-rock dei Bruce Peninsula (se passano dalle nostre parti, valgono il biglietto), controcanto e cifra simbolica, perché mood e fede sono mennoniti. Il protagonista ha volto e silenzio sofferto di Peter Stormare (Fargo, Dancer in the dark), mentre il film – siamo in Ontario, ma gli zii d'America sono vicini – dovrebbe ricordare Egoyan e i Coen, almeno per i selezionatori della competizione piemontese: si può anche condividere, ma pare più fertile un'altra crasi, non cinematografica, bensì letteraria, quella tra James Ellroy e Cormac McCarthy, perché poliziotto e donne sono del primo, il mondo là fuori del secondo. Tra i due gode il film, che rischia di vincere e, seppure non lo facesse, rimarrà tra i più bei ricordi dell'edizione 2010. Senza strafare, senza viceversa ridursi a un pletorico minimalismo, Small Town Murder Songs è un accorato e insieme limpido e paratattico peana alle virtù salvifiche del cinema, che non sono quelle della storia, ma del racconto.
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