RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Fratelli in erba</i>

16 settembre 2010

Fratelli in erba

Dialoghi platonici per una sceneggiatura psicotropa: Nelson tenta la black comedy ma offre più che altro lezioni di vita e confusione poetica, con un doppio gigionesco Norton

Fratelli in erba uguale figli della stessa confusione. Perché gli effetti del tetracannabinolo - "l'erba" che il film di Tim Blake Nelson dispensa a iosa e in vario modo: nella flora da serra, da giardino, nei fumosi dialoghi, nell'assopita regia - sono quelli che sono e, ad eccezione di una fugace esperienza atarassica, non portano a nulla di buono. Tanto per i protagonisti, due gemelli monozigoti che non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro - uno è stimato professore di filosofia, l'altro impenitente spacciatore - quanto per il film, che soffre dello stesso stordimento imputato ai suoi personaggi fattoni: nell'uno e nell'altro caso le buone intenzioni vanno irrimediabilmente in fumo. Peccato, perché lo spunto non era male al netto di ambizioni meno eccessive: invece Nelson - anche sceneggiatore - vuole trovare a tutti i costi la quadratura del cerchio imbastendo una commedia che sia cerebrale e familista, briosa e filosofica (si parla a briglia sciolta di Socrate, Aristotele e Heidegger), apollinea e dionisiaca, già pronta per metamorfosi tragiche e persino pulp.La storia: quando Bill Kincaid riceve la notizia dell'assassinio del suo gemello Brady, morto in un affare di droga andato male, lascia la Brown University, dove insegna i classici del pensiero filosofico, per tornare nella nativa Little Dixie, Oklahoma, terra di bifolchi (a suo pre-giudizio) e di vicende di campagna. Una volta arrivato a casa però, Bill si troverà di fronte il gemello ancora vivo, e pericolosamente al centro di un intrigo orchestrato dal medesimo fratello...Script ritagliato sulla vena gigiona di Edward Norton che fa suoi tutti e due i gemelli riuscendo nell'impresa di screditare entrambi. Poco sincero lui (loro?), troppo pastoso il film, che soffre di logorrea - nonostante qualche battuta sia felice - e provoca nevralgie. Immaginate la parlantina di Woody Allen con la faccia da colletto bianco di Norton che sciorina dialoghi tratti dall'Apologia di Socrate. Oppure: Wayne Wang che gira un film con Danny Boyle su sceneggiatura di Tarantino.I camei di Susan Sarandon (è la madre dei gemelli) e Richard Dreyfuss (nel ruolo di un trafficante ebreo) non aggiungono nulla, ma danno semmai l'impressione di essere stati inseriti di forza. L'intreccio si appollotola poi su dialoghi lunghissimi, twist poco credibili, e finali (ne abbiamo contato almeno tre) imbarazzanti. Scontate le invettive anti-religiose, non banale invece la riflessione sul pensiero alto, nell'accezione di sapere accademico, anaffettivo e poco disposto a sporcarsi le mani: meglio una poesia di Whitman (Leaves of Grass) - sembra dirci Nelson - che una sapienza epicurea. Ancora: meglio l'amore che l'autocontrollo. Si può essere d'accordo con lui, se pure lui converrà con noi: meglio un film d'evasione che una lezioncina di vita spacciata per cinema.

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