RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Guest</i>

02 settembre 2010

Guest

L'immagine-movimento secondo Jose Luis Guerin: in Orizzonti per inquadrare tutto ciò che potrebbe risultare inosservato

Stati Uniti, Cile, Brasile, Macao, Cuba, Filippine, Ecuador, Perù, Italia. Itinerario dell'ospite, guest, Jose Luis Guerin: tra il settembre 2007 e la fine del 2008. Il cinema è immagine in movimento. Ma anche macchina da presa che si muove, che viaggia, che valica la fissità dei luoghi geografici. Guerin prende spunto dalla presentazione internazionale del suo ultimo lungometraggio, La cyudad de Sylvia. Ad ogni tappa la fascinazione di un luogo, di un personaggio, di una faccia, di una voce che nulla hanno a che fare con una trama precofenzionata. Semmai sarà il montaggio a stabilire priorità e sintesi. La partenza è al festival di Venezia 2007, serata di gala, con le attrici del film che pigiate nei pochi metri quadri del bagno d'albergo del Lido si preparano per la passerella. Gli artisti, si sa, recitano, canticchiano, sapendo di essere ripresi, quasi per gioco. Dopo tocca alla strada, alle case, alla gente che Guerin osserva, insegue, perlustra con paziente curiosità, tra i santuari pubblici di moderne agorà. Certo in una classifica delle presenze spicca la quantità di materiale montato che ha per sfondo l'America Latina. Ma non risulta certo un difetto. Semmai se ne depotenziano i possibili sconfinamenti asiatici e nordamericani sia come spinta nell'intrusione, sia come profondità dell'evenemenziale.Il punto però è che in Guest si ha una spiccata sensibilità nel farsi sorprendere, nell'inquadrare ciò che potrebbe risultare inosservato. Il documentario, si sa, vive oramai di una saturazione di storie eclatanti, di eccessi, di note alte e stordenti. Guerin va in direzione opposta. Guest è il recupero di materiale vivo, pulsante, anche se non necessariamente sotto i riflettori della cronaca. Anche qui, non a caso, la tappa newyorchese è imbevuta della presenza enologica, sacrosanta, fondativa di Jonas Mekas. Nelle altre città, negli altri luoghi del globo, L'Avana, Bogotà, Santiago, le piazze sembrano pullulare di terrore per la fine del mondo. Predicatori biblici, canti popolari, azzeccagarbugli dell'ultima ora, celano insicurezza, precarietà, instabilità del contemporaneo. Ma Guerin aziona il click dell'azione in un digitale bianco e nero per proporre la casualità e il valore dell'incontro con l'altro. Curiosità non spettacolarizzabile, dato sociale e culturale non commerciabile. Un cineasta moralmente intonso che rispetta ulteriormente lo spettatore. Da sottolineare l'unica dolente nota di un free-jazz fin troppo didascalico ad enunciare fin dal primo secondo l'idea di svisante libertà formale adottata.

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