SCHEDA FILM

VITA DI CAMPAGNA

Anno: 1994 Durata: 117 Origine: AUSTRALIA Colore: C

Genere:COMMEDIA

Regia:-

Specifiche tecniche:NORMALE A COLORI

Tratto da:LIBERAMENTE ISPIRATO AL LAVORO TEATRALE "LO ZIO VANJA" DI ANTON PAVLOVIC CECHOV

Produzione:ROBIN DALTON

Distribuzione:CECCHI GORI DISTRIBUZIONE (1996)

TRAMA

Nella fattoria in Australia l'anziano Jack Dickens fa l'allevatore. Vivono con lui Maud (l'anziana madre) e la nipote Sally, che si occupa dell'amministrazione della tenuta. Spesso li frequenta anche l'affascinante medico distrettuale Max Askey, di cui la giovane è segretamente, ma invano, innamorata. La tenuta avrebbe bisogno di ammodernamenti e la villa di restauri, ma la vita è in sostanza assicurata, anche se mensilmente Jack deve spedire a Londra un assegno al cognato Alexander lontano da ben 22 anni, malgrado Sally sia sua figlia. Alexander, che svolge la sua attività di critico teatrale, ha sposato in seconde nozze la bellissima Deborah. La quiete sonnolenta è turbata dall'annuncio dell'arrivo di Alexander e sua moglie, in visita ai congiunti. Questi è un uomo raffinato, ma ampolloso ed esigente: critica subito la fatiscienza della dimora; ne sconvolge abitudini ed orari; annuncia l'arrivo dei più preziosi vini francesi; non si occupa che dei suoi libri. Sua moglie ostenta la sua bellezza ed abiti lussuosamente eleganti, ma è gelida e scostante, soprattutto insoddisfatta del suo anziano ed insopportabile consorte. Jack, che è un po' rozzo e dedito al whisky, ma non certo insensibile, s'innamora subito della raffinata e sdegnosa "inglese", ormai stanco com'è della propria esistenza senza orizzonti né gioie essendo rimasto vedovo ed avendo saltuari incontri nella notte con la giovane cameriera Violet. Intanto si sono fatte frequentissime le visite del dottor Max, preso dal fascino e dalle prurigini della bella Deborah che accetta una relazione con il medico, che culmina prosaicamente in un fienile, con aperte gelosie di Jack. Ma ecco che Alexander, convocata un giorno la famiglia, e dichiaratosi convinto che Londra è molto bella, mentre la vita di campagna è sana, ma noiosa - e quindi non ideale per lui e la moglie - propone agli increduli congiunti di vendere la proprietà. Jack prende, disperato, il fucile: imbraccia l'arma e spara senza riuscire nemmeno a ferire il cognato. La coppia inglese, rivelatasi egoista e capricciosa in tutto, si congeda e parte. L'infelice Sally torna a verificare conti e fatture accanto allo zio. L'ordine abituale viene ristabilito: la terra e i braccianti hanno bisogno di loro.

CRITICA

"Da buon autore aggiunto, Blakemore non perde occasione per dare colore e vitalità al contesto: e fa risaltare alla grande la figura quasi totalmente inventata di una serva padrona recitata con brio dalla veterana Googie Withers. Il meglio di questo zio Vanja trattato con sapiente e legittima familiarità sta comunque nella centralizzazione del Professore, di cui il regista incarnandolo personalmente non si limita a fare il solito accademico borioso: qui Alexander diventa un critico teatrale che potrebbe essere la vendetta di Michael Blakemore contro tutti i critici che hanno funestato la sua carriera. (...) Da petulante bon vivant Alexander snobba G. B. Show come astemio e vegetariano, non perde occasione per imporre la propria presunta superiorità e tuttavia tramite una confidenza di Elena ad Astrov apprendiamo che a Londra è stato licenziato e ha dovuto tornare in Australia perché si addormentava alle prime. Insomma un ritrattino in cui si riconosce lo stile del memorialista di 'The New Yorker'." (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 4 Luglio 1996) "Eh già, più o meno 'Zio Vanja' di Cechov, in un'ennesima rivisitazione-dislocazione. Di recente lo si è visto riambientato tra le montagne del Galles del nord nel 1896 in 'August', primo film diretto (malissimo) da Anthony Hopkins e da lui interpretato; lo si è visto spostato a New York nella sala prove d'un teatro cadente in 'Vanja sulla 42a Strada' di Louis Malle. Ritrovarlo riarrangiato nell'Australia rurale non può scandalizzare, ma confermare la perenne vitalità di un testo teatrale drammaticamente troppo perfetto, troppo ghiotto per gli attori, troppo facile per i produttori col suo concentrarsi in pochi ambienti, per essere dimenticato, per non seguitare a venir sfruttato, a subire abusi, a incoraggiare varianti, a essere amato." (Lietta Tornabuoni, 'L'Espresso', 8 Agosto 1996)

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