Il tempo che ci rimane2009

SCHEDA FILM

Il tempo che ci rimane

Anno: 2009 Durata: 105 Origine: FRANCIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Elia Suleiman

Specifiche tecniche:35 MM (1:1.85)

Tratto da:-

Produzione:MICHAEL GENTILE, ELIA SULEIMAN, HANI FARSI PER NAZIRA FILMS, FRANCE 3 CINEMA, ARTEMIS PRODUCTIONS, RTBF, BELGACOM, BIM DISTRIBUZIONE, CORNICHE PICTURES, MBC, FRANCE 3, CANAL+, TPS STAR

Distribuzione:BIM (2010)

ATTORI

Elia Suleiman nel ruolo di E.S.
Saleh Bakri nel ruolo di Fuad
Samar Qudha Tanus nel ruolo di La madre 1970-80
Shafika Bajjali nel ruolo di La madre oggi
Tarek Qubti nel ruolo di Vicino di casa
Zuhair Abu Hanna nel ruolo di E.S. bambino
Ayman Espanioli nel ruolo di E.S. adolescente
Bilal Zidani nel ruolo di Jubran
Leila Mouammar nel ruolo di Thuraya
Yasmine Haj nel ruolo di Nadia
Amer Hlehel nel ruolo di Anis
Nina Jarjoura nel ruolo di Rose
Georges Khlefi nel ruolo di Sindaco
Ziyad Bakri nel ruolo di Jamal
Lotuf Neusser nel ruolo di Abu Elias
Ali Suliman nel ruolo di Fidanzato di Eliza
 

SCENEGGIATORE

Suleiman, Elia
 

MONTAGGIO

Lange, Véronique
 

SCENOGRAFIA

Waked, Sharif
 

COSTUMISTA

Shrewsbury, Judy

TRAMA

Nazareth, 1948. Al tempo della creazione dello Stato di Israele, poche ore prima della resa della città, il palestinese Fuad, guerrigliero della resistenza, non riesce a raggiungere in tempo la sua ragazza, Thurayya, fuggita insieme alla famiglia in Giordania. Dopo molti anni, Fuad, che intanto si è sposato e ha avuto un figlio, viene catturato e accusato di contrabbandare armi. Condotto alla stazione di polizia, incontra per caso Thurayya, che ha ottenuto un permesso per entrare in città e andare a far visita al padre malato. Il fortuito incontro diventa occasione per rinverdire il loro vecchio amore. Nazareth intanto sta subendo un periodo di sollevamento politico: il desiderio di riguadagnare e riaffermare un'identità nazionale tra i palestinesi sta crescendo sempre di più. E mentre Fuad si reca in Giordania al capezzale di Thurayya, malata terminale di cancro, E.S., il figlio adolescente di Fuad, ripercorre il destino del padre e viene arrestato. Le assurde esperienze personali e gli ultimi accadimenti politici spingono E.S. a realizzare un film che, forse, diventerà anche l'occasione per crearsi una nuova identità...

CRITICA

"Ondate di applausi fino all'ultimo titolo di coda, in sala, per questo film su ciò che resta dei ricordi, di una Palestina che va oltre la dimensione politica, la cronaca, la storia, si espande e diventa mondo. Lo stato che non c'è, e che secondo il governo attuale israeliano di estrema destra non ci sarà mai, nel film di Suleiman sbaraglia ogni esercito e supera ogni muro, potente entità immaginaria che vince sul reale. (...) Il cinema di Elia scarta la narrazione realistica e, come in 'Intervento divino' (2002), arreda i ricordi con un tocco surreale, e l'umorismo incantato delle strisce dei fumetti, una situation comedy della catastrofe. Piccole cose ordinarie che compongono la partitura della nostalgia, 'qualcosa di proustiano', dice il regista, (...) Contro lo sguardo feticista sulla Palestina, 'The Time That Remains' è un film epico fuori genere, che avanza in linea verticale, non seguendo la superficie, ma sprofonda nell'intimità." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 23 maggio 2009) "Nel nome del padre: la Palestina formato famiglia di Elia Suleiman. Dai diari di papà Fuad e dalle lettere della madre, quello che rimane è il tempo dei palestinesi, arabo-israeliani in minoranza nella loro madrepatria: dall'indifferenza giovanile all'attivismo politico della maturità fino all'odierna osservazione non partecipata, per Elia; dalla Resistenza del '48 alla passività, per il genitore. Con lo stile divertito del migliore 'Intervento divino' (2002), Suleiman si fa passeggero della memoria, strizza l'occhio a Keaton e Tati, racconta gli abusi israeliani e si sforza di sorridere: fino a oggi, quando diventa maschera impassibile, la madre vedova e muta, le nuove generazioni politicamente apatiche. Se le gag vanno un po' fuori giri, ogni fotogramma prende una posizione senza se e senza ma sul conflitto israelo-palestinese, fregandosene del pleonastico - l'afasia del Suleiman oggi - e dell'utopico - il salto con l'asta del Muro. E' il poco tempo che rimane a non ammettere sottigliezze?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 3 giugno 2010) "Quando hai una faccia come quella di Elia Suleiman, fare anche un film non è necessario. Bastano quei lineamenti, quel saper (re)incarnare Buster Keaton nel mezzo del conflitto mediorientale, per poter catturare l'attenzione di tutti gli spettatori, anche quelli più distratti. E in effetti Suleiman è un uomo geniale e colto a cui basta metterti la faccia e delle ottime idee di fondo per regalare qualcosa, a suo modo, di unico. Successe con 'Cronaca di una sparizione', una dozzina d'anni fa, a Venezia. E poi con le sue opere più belle, 'Cyber-Palestina' e 'Intervento divino'. (...) Una scena piena di ironia e poesia, leggera ed elegante come il gesto atletico con cui Suleiman supera quell'ostacolo, pesante come quella struttura imponente. E di queste scene Suleiman, con il suo stile surreale e delicato, ne offre parecchie, forse persino troppe (sacrificandosi a una frammentarietà efficace). (...) Momenti surreali e grotteschi che il regista sa disegnare con maestria, dividendoli in quattro episodi, dal 1948 ad oggi, tutti legati alla autobiografia sua, della sua famiglia, del suo popolo, perché 'Il tempo che ci rimane' è un puzzle che nasce dalle memoria delle donne di famiglia, dai ricordi del padre combattente e da immagini e parole rimaste attaccate al Suleiman bambino. Storie vere narrate con la sua grazia tragicomica, che ridisegnano la Storia in una quotidianità disastrata. Con un occhio di parte, è vero, ma che ha a cuore l'umanità e la disumanità di un teatro di guerra - mai come in questo film si rivela una definizione esatta e calzante - in cui gli attori sono pedine in mano al capricci grotteschi del Potere. Lo vedi nella presenza dell'invasore, ma anche negli accenni alla Resistenza araba: Suleiman cerca le colpe, perché sa che i colpevoli sono ovunque." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 4 giugno 2010) "La cosa più interessante del cinema di Suleiman non è però la sua militanza, persino ovvia - crediamo sia impossibile, per un palestinese, fare film che non parlino della Palestina -, ma il suo stile. Immaginatevi un mix tra Arafat e Jacques Tati, un modo minimalista di raccontare storie di per sé massimaliste. I film di Suleiman sono tragici e, al tempo stesso, divertenti. Se non temessimo di insultarlo - ma forse no, è un ragazzo troppo intelligente - dovremmo parlare di umorismo di stampo ebraico. E del resto i grandi comici ebrei-americani di che cosa parlano, se non dello spaesamento, della mancanza di una patria e di un'identità? (...) La domanda è ovvia: 'Il tempo che ci rimane' è un film d'attualità? Suleiman vi risponderebbe che l'attualità, dalle sue parti, non passa mai di moda. Noi abbiamo visto il film a Cannes (era in concorso) esattamente un anno fa. Ripensandolo oggi, ci viene da dire che la sua attualità consiste non nello spiegare perché ebrei e palestinesi siano in perenne conflitto (quello, dovremmo saperlo da soli), ma nel raccontare come, dal '48 a oggi, siano riusciti nonostante tutto a sopravvivere, talvolta addirittura a convivere. L'ironia ha avuto un ruolo importante. E, no!, non è esclusiva degli ebrei." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 4 giugno 2010) "Non c'è guerra e neppure ideologia self service, tutto è rivissuto e ripensato sul processo della memoria, osservando piccole grandezze del quotidiano, raccontando la sofferenza anche col silenzio che al cinema pesa come un macigno e rendendo così i ricordi privati un momento di historia universale." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 4 giugno 2010)

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