SCHEDA FILM

THE QUARRY - LA CAVA

Anno: 1997 Durata: 109 Origine: BELGIO Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:-

Tratto da:TRATTO DAL ROMANZO OMONIMO DI DAMON GALGUT

Produzione:MARION HANSEL

Distribuzione:ISTITUTO LUCE (1999)

TRAMA

In zone poco popolate del Sud Africa, un assassino è in fuga dopo aver commesso un terribile omicidio. Lungo la strada viene aiutato da un uomo che lo soccorre e lo sfama. Questi è un pastore, che alla fine gli fa richieste di strane prestazioni. L'assassino reagisce con violenza, l'uomo batte la testa e muore. Il fuggitivo allora decide di prenderne il posto e, nei panni del reverendo, si presenta in paese e va ad abitare nell'alloggio stabilito. Tutto procede bene finché non viene ritrovato il cadavere dell'uomo. Valentin, un ragazzo balordo detenuto in prigione, dice che il prete è un bugiardo. Il capitano Mong, responsabile della polizia, non ci crede, però va a trovare il reverendo e gli dice che circolano strane voci. Durante il processo a Valentin e al fratello, il pastore va sul banco dei testimoni e confessa di essere un impostore. Nella confusione che ne segue, lui e Valentin scappano insieme sullo stesso treno. Alla stazione successiva scendono: c'è il capitano Mong che affronta il falso prete, lo accusa di omicidio e, mentre lui ancora fugge, lo uccide. Valentin si mette a correre nell'erba verso una destinazione sconosciuta.

CRITICA

"Ispirandosi a uno sconosciuto romanzo dello scrittore sudafricano Damon Galgut, la cineasta belga Marion Hansel ha voluto impaginare una di quelle storie forti e inusuali che tanto le piacciono; peccato che lo stile - asciutto, ermetico e quasi beckettiano nelle ambizioni - giri un po' a vuoto, lasciando nello spettatore un senso di insofferenza. Non lo stesso succedeva in L'apostolo di Robert Duvall, film al quale 'The Quarry', magari involontariamente, si riallaccia. (??) Costruito come uno psicodramma freddo, nonostante l'avvolgente calore del sole sudafricano, 'The Quarry' fruga nelle fragilità dei tre personaggi, ciascuno dei quali murato vivo in un ruolo - il Fuggitivo, l'Indagatore, il Condannato - dalle rifrangenze allegoriche. Cromatismi forti, tempi dilatati, psicologie scorticate. E per finire una pallottola nella schiena." (Michele Anselmi, 'L'Unità', 30 giugno 1999) "Pochissimi dialoghi, una regia che si affida soprattutto agli sguardi, con una attenzione molto attenta come già in 'Dust' - per quella cornice desolata fra il deserto e il mare, colma di echi, di voci e rappresentata con un cinemascope che anche più la dilata disperdendovi in mezzo la solitudine dei tre personaggi e, più d'una volta, la loro ambiguità. Forse, dato che a un certo momento l'azione prevale, non sempre è rispettato l'equilibrio fra le dinamiche del dramma che si prepara e poi esplode e l'analisi tutta molto da vicino dei caratteri, con i loro toni sospesi e le tante allusioni, non sempre molto chiarite che li attraversano, ma sul film aleggia egualmente un clima cui non è difficile aderire, sia per la sua intensità, sia per il linguaggio colto e meditato che tende a suscitarlo. Non è forse l'opera migliore di Marion Hansel, di cui si ricorderà con maggior simpatia 'Sulla terra come in cielo' e 'Il maestro' con Charles Aznavour, ma ha valori psicologici e formali che confermano le doti di una regista tra le più significative del cinema belga di oggi." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 2 luglio 1999) "Fino a un certo punto funziona la suggestione dello sterminato paesaggio, deserto dell'anima che rivanga i sordi tormenti dei diversi caratteri. Via via che la - lenta - azione procede, però, le distese desertiche finiscono per subire un curioso processo di restringimento. L'assassino decide di seppellire il corpo della vittima a poca distanza dal villaggio in cui va a occuparne il posto; due uomini in fuga si ritrovano - guarda caso - nello stesso vagone ferroviario; tutto il resto avviene in pochissimi ambienti fissi, dove si muove un piccolissimo numero di personaggi. Con un effetto di set teatrale tanto più spiazzante per un film realizzato en-pleir-air." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 2 luglio 1999)

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