Il mio nome ? Khan2010

SCHEDA FILM

Il mio nome è Khan

Anno: 2010 Durata: 165 Origine: INDIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Karan Johar

Specifiche tecniche:35 MM, CINEMASCOPE

Tratto da:-

Produzione:HIROO YASH JOHAR, GAURI KHAN PER DHARMA PRODUCTIONS, IN COLLABORAZIONE CON RED CHILLIES ENTERTAINMENT PRODUCTION MUMBAI

Distribuzione:20TH CENTURY FOX ITALIA

ATTORI

Shahrukh Khan nel ruolo di Rizwan Khan Shah Rukh Khan
Christopher B. Duncan nel ruolo di Barack Obama
Kajol nel ruolo di Mandira
Steffany Huckaby nel ruolo di Kathy Baker
Carlo Marino nel ruolo di Vaughn
Douglas Tait nel ruolo di Sniper
Tanay Hemant Chheda nel ruolo di Rizwan Khan da bambino Tanay Chheda
Harmony Blossom nel ruolo di Karma
Shane Harper nel ruolo di Tim
Sheetal Menon nel ruolo di Radha
Jennifer Echols nel ruolo di Mamma Jenny
 

SOGGETTO

Johar, Karan
 

MONTAGGIO

Bhatia, Deepa
 

SCENOGRAFIA

Roy, Sharmishta
 

TRAMA

Rizvah Khan è un indiano di religione musulmana. E' un uomo onesto ed è affetto da una leggera forma di sindrome di Asperberger. Vive insieme alla sua famiglia negli Stati Uniti dove ha sposato Mandira, una splendida mamma single alla ricerca spasmodica di successo e riflettori puntati su di sé. L'attacco alle torri gemelle dell'11 settembre 2001, però, smembra la sua famiglia. Per riunirla, a Khan non resta che un viaggio attraverso l'America, i suoi paesaggi così diversi e le sue nuove paure di paese traumatizzato.

CRITICA

"Molti festivalieri avevano occupato i posti più laterali della sala, quelli della grande fuga. Temevano che i 60 minuti di 'My Name is Khan' dell'indiano Karan Johar, fossero eccessivi. Invece, davanti a questo bel film, non si è mosso nessuno. Il protagonista è Shah Rukh Khan (nella foto), la più grande star di Bollywood, una di quelle che in patria non può mettere il naso fuori di casa ma che in un aeroporto Usa viene arrestato (è accaduto lo scorso 14 agosto) perché sospettato di terrorismo. Un episodio che ha scatenato l'ira degli indiani spingendoli a bruciare bandiere americane e che rende ancora più attuale ciò di cui il film tratta." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 13 febbraio 2010) "L'America vista da Bollywood. Un 'Forrest Gump' in salsa tandoori. Due superstar indiane per sfidare il cinema Usa in casa. 'My Name is Khan' si presta allo slogan ma è anzitutto una fiaba, sfarzosa e gentile che chiede (e ottiene) lo sguardo ingenuo di una volta. Il soggetto sbandiera temi pesanti come il razzismo, l'intolleranza dell'America post-11 settembre (ma anche l'odio fra indù e musulmani), la forza dell'amore e della volontà. Sullo schermo però scintillano il sorriso della luminosa Kajol, la simpatia di Shah Rukh Khan e un gusto così sfacciato per la coreografia che perfino un taglio di capelli diventa una scena d'amore, cioè una scena da musical. Il resto lo fanno la passione impossibile ma molto fotogenica fra l'indiano musulmano affetto da autismo e la bella compatriota indù emigrata come lui in California. E naturalmente le mille battaglie combattute dall'ingenuo ma tenace e intelligentissimo Khan. Contro le proprie fobie, contro i pregiudizi, contro il razzismo spicciolo e meno spicciolo, contro i terroristi islamici annidati nel cuore dell'America (che esistono, ci mancherebbe). Gli spettatori del genere 'a-me-non-la-si-fa' alzeranno il sopracciglio. I cinici lo prenderanno come un anti-'Borat'. Gli altri si sentiranno liberi di divertirsi, e parecchio." (Fabio Ferzetti, 'l Messaggero', 26 novembre 2010) "Film da vedere, a condizione di sospendere l'incredulità e lasciare a casa lo snobismo: 'Il mio nome è Khan' è pura Bollywood, l'industria indiana che sforna un migliaio di film all'anno, e da quelle parti non c'è limite alla fantasia. (...) Film fluviale, coloratissimo, esagerato: una risposta indiana a 'Forrest Gump', con la stessa aspirazione di usare l'handicap come metafora della condizione umana. In più, è una lettera dell'India all'America, invitandola a mettere da parte il pregiudizio. Film, a suo modo, epocale" (Alberto Crespi, 'L'Unità', 26 novembre 2010) " 'My Name is Khan', presentato fuori concorso alla scorsa Berlinale, è una bandiera dispiegata al vento contro lo scontro di civiltà, che parla l'esperanto del cinema e modula allegramente i generi, passa dalla commedia al melò, trasmuta Bollywood in un kolossal on the road, coniuga Bombay con San Francisco, prende la superstar indiana, Shah Rukh Khan, e la fa interagire con il Dustin Homan di 'Rain Man' e con il Tom Hanks di 'Forrest Gump'. Disintegra la segregazione identitaria tra hindu e musulmani in una potente ondata emozionale attraverso le avventure di Rizvan Khan, affetto dalla sindrome di Asperger, forma lieve di autismo. (...) Il film cambia, si ferma, riparte, potrebbe andare avanti all'infinito, telenovela poetico-politica spudorata e pop. Non consente distanze, nella purezza del 'matto' trascende ogni resistenza emotiva. Solo un visionario può raccontare la pace e la guerra. All'improvviso da racconto immaginario si fa documentario, e sancisce la fine del dopo nine-eleven. Liberatoria prima opera dedicata a Barack Houssein Obama, nato alle Hawaii, venuto dal Kenia, cresciuto in Indonesia, e mai più fermato alla frontiera. Il presidente (Cristopher B. Duncan), convocherà l'assurdo e adorabile maratoneta dell'impossibile, e in un duetto demenziale lo eleggerà a modello internazionale. 'Yes I Khan'." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 26 novembre 2010) "Ancora l'onda del 'delitto globale', l'11 settembre nella vita di Khan, indiano con lieve autismo emigrato in Usa dove compone una famiglia (moglie bellissima, esalta il tragico...) e affronta tutto. Quasi, perché nel segno della differenza che lo distingue, l'America delle Torri non trova posto per un innocente sospettabile. Umiliazione e ingiustizia, matrimonio a pezzi, una coerente certezza di integrità, spingono l'eroe a cercare il Presidente, in un melò indiano che si apre al dramma costituzionale in Occidente: la libertà, il diritto, il rispetto della diversità. Ricordando la purezza dignitosa di 'Forrest Gump', al tutore massimo delle regole vorrebbe dire: 'Mi chiamo Khan, ma non sono un terrorista'. Troppo delicato e attuale il tema per non farsi prendere. Regia non banale." (Silvio Danese, 'Nazione, Carlino, Giorno', 26 novembre 2010 ) "Bollywood tra melodramma e storia partorisce qualcosa di simile a Forrest Gump, almeno perché il protagonista, Rizvan Khan, è affetto da lieve autismo. (...) Troppa carne al fuoco però di discreta qualità." (Cinzia Romani, 'Il Giornale', 26 novembre 2010) "Debutto ufficiale sui nostri schermi del genere Bollywood, che fa vendere in patria tre miliardi e mezzo di biglietti l'anno, tradizione popolare, festosa e fastosa del cinema indiano già apparsa in 'Lagaan' e 'Matrimoni e pregiudizi' corretto da Jane Austen. Il film di Karan Johar, figlio d'arte riverito al botteghino, rivela tutta la forza di commovente divertimento, formula narrativa, melodramma pop applicato a pubblico e privato, alla sfera politica come al razzismo post 11 settembre, non solo americano, verso i musulmani. (...) Nel film c'è di tutto e di più, talvolta di troppo, ma la folata emotiva che suscita è sincera pure se organizzata con stile teatrale che si appresta ora a catturare anime belle e cuori semplici occidentali con la consueta partner Kajol, bellissima diva asiatica. Tutto col nobile scopo di raccontare l'ingiusto isolamento musulmano, completo di orgogli e pregiudizi ¿ tanto che lo stesso divo nel 2009 fu arrestato 'per caso' all'aeroporto di Newark ¿ riuscendo infine ad essere una storia che coinvolge a ogni latitudine parlando con calcolata ingenuità dell'umanità tutta, pur osservandola con gli occhi di un uomo così felicemente particolare e così infelicemente felice." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 26 novembre 2010) "'Rain Man', 'Forrest Gump': vi sono piaciuti? Allora, anche il kolossal indiano 'II mio nome è Khan' potrebbe. Potrebbe, perché è la versione 2.0: la diversa abilità non è solo davanti alla macchina da presa, ma dietro. Almeno, questo è il sospetto: Khan sarebbe affetto da sindrome di Asperger, ma per come si muove da ritardato e agisce da mentecatto il burattinaio con l'occhio in camera deve stare decisamente peggio. (...) 'Il mio nome è Khan e non sono un terrorista': (...) sullo schermo, è il ritornello della malafede, il mantra delle buone intenzioni (apologo di tolleranza, multiculturalismo, etc.) ridotto a vagito stilistico e fracasso paternalistico. Il mio nome è... mai più." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 26 novembre 2010)

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