Mi rifaccio vivo2013

SCHEDA FILM

Mi rifaccio vivo

Anno: 2013 Durata: 105 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:COMMEDIA

Regia:Sergio Rubini

Specifiche tecniche:-

Tratto da:-

Produzione:DOMENICO PROCACCI PER FANDANGO CON RAI CINEMA

Distribuzione:01 DISTRIBUTION (2013)

ATTORI

Emilio Solfrizzi nel ruolo di Dennis Rufino
Neri Marcorè nel ruolo di Ottone Di Valerio
Lillo nel ruolo di Biagio Bianchetti
Sergio Rubini nel ruolo di Barbone
Vanessa Incontrada nel ruolo di Sandra Bianchetti
Bob Messini nel ruolo di Direttore
Gian Marco Tognazzi nel ruolo di Avvocato Mancuso
Margherita Buy nel ruolo di Virginia Di Valerio
Valentina Cervi nel ruolo di Amanda
 

MUSICHE

Buonvino, Paolo
 

MONTAGGIO

Nicolini, Angelo
 

SCENOGRAFIA

De Angelis, Roberto
 

COSTUMISTA

Chericoni, Patrizia

TRAMA

L'imprenditore Biagio Bianchetti, proprietario della BB magazzini, perseguitato dalla sfortuna e ormai a un passo dalla rovina, decide di compiere l'ultimo ed estremo gesto. Tuttavia, una Volontà Suprema gli offre una seconda opportunità che lui decide di afferrare unicamente per vendicarsi e distruggere il suo antagonista nella vita e negli affari: il fortunato e affascinante Ottone Di Valerio, con cui Biagio è sempre stato in competizione sin dai tempi della scuola. Biagio tornerà quindi sulla terra sotto le mentite spoglie del super manager Dennis Rufino, l'uomo che ha nelle mani le sorti dell'azienda di Ottone. Standogli accanto, però, Biagio scoprirà la vera natura del suo rivale, tanto diversa da quella che appare all'esterno. Inaspettatamente, si ritroverà a battersi per salvare la vita dell'altro, salvando così anche la propria.

CRITICA

"Sulla falsariga di tanti paradisi che possono attendere, di morti reincarnati, Sergio Rubini sceglie la via surreale ma non rinuncia del tutto a citare l'oggi, le vendette d'ufficio, lo scambio di persone e di corna come nelle pochade. Perdendo però entrambi i treni perché la sceneggiatura è spesso «insentibile», le situazioni prevedibili, i rilanci infantili e c'è un tono che non fa partire la storia. La famiglia allargata dei suoi attori fa di tutto, ma arriva alla fine esausta come noi." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 9 maggio 2013) "Della presentazione alla stampa di 'Mi rifaccio vivo', decima regia di Sergio Rubini, è stato messo molto in risalto quanto lo stesso attore-autore ha dichiarato per offrire una chiave di lettura del film: «una storia di pacificazione, in linea con il governissimo». Che sarà pure utile a creare richiamo in un mercato in cui se non si cattura immediata attenzione si passa subito a quello dopo, da friggere secondo lo stesso criterio, ma forse non giova all'autonomia del film e allo spirito universale del suo messaggio. Tanto universale, e questo invece nessuno lo ha rilevato, da essere una citazione di un celebre film del 1943, 'Il cielo può attendere' del maestro assoluto della commedia brillante Ernst Lubitsch. Insomma, dovrebbe essere un onore per Rubini dichiarare la fonte anche perché indicativo di una benvenuta ricerca da parte della commedia italiana verso dimensioni poco battute, un po' astratte, 'sofisticate'. Mentre di smanie, per lo più perdenti, di correre dietro all'attualità e di sfornare pamphlet travestiti da commedia - cotti, mangiati e dimenticati - non si sente la mancanza. Detto questo, Sergio si conferma artista intelligente, inquieto nel senso di esploratore, eclettico nel senso di curioso senza paletti e pregiudizi, disponibile sempre a misurarsi e provare. Con parecchi anni (ed esperienza, per forza di cose) in meno e anche con qualche condizionamento autorale in più (essere nato sotto la stella felliniana in un certo senso lo ha segnato), è un po' come Michele Placido, di cui condivide la doppia anima di regista e attore. (...) Il congegno c'è (e alla sua scrittura Rubini è stato affiancato da Umberto Marino con il quale torna a collaborare dopo tanti anni) anche se c'è anche un po' di sottovalutazione della sua macchinosità, tipica e necessaria in un congegno così ma dalla quale non è poi così facile emergere. Il 'funzionamento' delle interpretazioni non è omogeneo. Solfrizzi non si risparmia, tra i piccoli ruoli si segnala l'avvocato mafioso di Gianmarco Tognazzi, ma di Buy che abbiamo appena lodata senza riserve per il film di Maria Sole Tognazzi possiamo lamentare l'impaccio." (Paolo D'Agostini, 'Repubblica', 9 maggio 2013) "Sergio Rubini a Roma, lontano dalle sue abituali comici pugliesi. Più del solito però in una cifra comica che sa sempre tenersi in equilibrio fra una certa satira a degli spunti scopertamente surreali (...). Satira e commedia, appunto, con quel surreale che continua ad imporsi nell'azione perché Dennis, se si specchia, si vede di nuovo come Biagio, con la possibilità di confrontarsi con lui e perciò con se stesso. I personaggi di contorno sono tanti (...). In una girandola che arriva a volte a toccare persino i modi della farsa, liberati però da certi accenti di troppo quando questo e quell'emissario del Di là intervengono a proporre piccole considerazioni morali, comunque con garbo. Il gioco, com'è chiaro trova il suo maggior sostegno nella recitazione di tutti gli interpreti, trai quali spiccano Neri Marcorè, nelle supponenze ma anche nelle buffe ansie di Ottone, Emilio Solfrizzi, un Dennis colorato con misura, Lillo, nel carattere un po' goffo di Biagio, e tre donne tutte belle e tutte brave, da Margherita Buy nella presenza tutto fascino della moglie di Ottone, a Valentina Cervi, l'amante, a Vanessa Incontrada, la moglie di Biagio. Un terzetto smaltato. Quanto a Rubini lo ritroviamo anche come attore sotto i panni sia di un barbone sia di uno del Di là. E diverte." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 9 maggio 2013) "All'undicesima regia e forse arrivato il momento di fare un punto sulla carriera di Sergio Rubini, uno degli attori italiani più bravi e amati che però si è ormai costruito un «corpus» di opere importante. Non gli diamo la patente di «Autore» perché crediamo poco in questa definizione, e perché Rubini continua - anche da regista - ad essere attore «dentro», ritagliandosi sempre ruoli significativi e lavorando in squadra con i propri interpreti con il gusto di sorprenderli, e sorprenderci. È bravissimo nel dirigere i colleghi, e sarà d'accordo Emilio Solfrizzi, un suo conterraneo (pugliesi entrambi) che era straordinario in 'La terra' ed è notevole pure qui, in un difficilissimo ruolo «doppio». Ma l'aspetto più interessante del Rubini regista è un altro: gira film diversissimi, spazia dalla commedia al dramma, dall'etnico all'internazionale, e ha un coraggio da leone. Non si spaventa davanti a copioni che farebbero tremare anche registi più esperti, e quello di 'Mi rifaccio vivo' (scritto assieme a Carla Cavalluzzi e Umberto Marino, suo complice fin dall'esordio con 'La stazione') poteva terrorizzare chiunque. Non è facile per nessuno sfidare Frank Capra, Ernst Lubitsch e il Warren Beatty di 'II paradiso può attendere', e non è facile per nessuno trascinare la commedia italiana su toni comici che sfiorano il surrealismo e richiedono addirittura l'impiego (sempre problematico nel nostro cinema) di una modica quantità di effetti speciali. 'Mi rifaccio vivo' ricicla l'idea - vecchia ma sempre buona - del morto al quale viene concessa una seconda chance. (...) sotto la crosta della commedia post-mortem (ovviamente si pensa anche al Capra di 'La vita è meravigliosa') si nasconde un film sull'oggi, con imprenditori attanagliati dalla crisi, donne insoddisfatte sempre sull'orlo dell'isteria, un'umanità involgarita e incattivita. Ma proprio la scelta di genere è funzionale all'altro tema sommerso del film: la riconciliazione. E' come se Rubini pretendesse dai propri personaggi lo sforzo di far pace con il mondo, e con se stessi. E' un «buonismo» solo apparente, e del resto anche Capra aveva i suoi lati oscuri: l'Aldilà è ben poco rassicurante e i suoi «funzionari» (l'autista Enzo Iacchetti, l'onnipotente impiegato Rubini, persino un Karl Marx da barzelletta) sembrano una sorta di Spectre pronta ad eliminare gli ostacoli anche in modo violento (guardate che fine fa l'avvocato mafioso di Gianmarco Tognazzi). Sotto sotto, abbiamo il sospetto che Rubini voglia suggerirci che anche in Paradiso comandano sempre gli stessi. Film complesso, da rivedere: si ride, ma si fanno pensieri che potrebbero anche far piangere." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 9 maggio 2013) "Commedie, ancora commedie, sempre commedie. Non è ancora stabilito se sia utile fronteggiare la crisi degli incassi ricorrendo al tipico (unico?) colpo in canna rimasto al cinema italiano, ma quando si legge il nome di Sergio Rubini è giusto concedere un surplus d'attenzione. L'attore, sceneggiatore e regista di Grumo Appula, infatti, possiede il dono della personalità ed è abituato a metterlo in campo sia nelle prove riuscite che in quelle insufficienti: il cosiddetto piacere del testo, poi, non gli manca e questo fa sì che i suoi film non sembrino mai condizionati dalla pretensione concettosa che sotto il nostro cielo vale la patente 'd'autore' a prescindere. Con 'Mi rifaccio vivo' (...) l'inclinazione è confermata, anzi accentuata perché il copione scritto insieme al duo Cavalluzzi-Marino prefigura un racconto tutto intarsiato di siparietti, quiproquo, battibecchi e parodie di ogni ordine e grado: Rubini, insomma, si allontana dai toni grotteschi e autobiografici di 'L'uomo nero' o 'La terra' per approdare convinto a quelli più frizzanti e surreali da pochade franco-anglosassone. L'occasione giusta per modulare il racconto su un manipolo di amici/attori, ghiotta parata di maschere tra le quali non fa certo fatica a inserire anche la propria. (...) Il film parte bene, Lillo e Solfrizzi viaggiano in scioltezza e non disturba la virata in sottofinale di facile, ancorché lodevole esorcismo contro la competitività mal riposta, la smania d'apparire, la vanità, l'invidia e l'opportunismo che non smettono d'impazzare in lungo e in largo nelle corsie alte e basse della comunità umana. Peccato che di vere trovate ce ne siano poche, le risate non erompano mai con fragore e le scansioni drammaturgiche tra i progressivi scatti della trama siano ora un po' statiche, ora un po' dilatate e sempre troppo esili." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 9 maggio 2013) "Da dove viene la storia del disperato che, dopo una morte violenta o un suicidio, viene ripescato da Dio o da un angelo che gli fa vivere una settimana sulla terra, ma dentro il corpo di un altro per capire i suoi errori e i veri valori della vita? Diciamo 'Goodbye Charlie' di Vincent Minnelli? 'Nei panni di una bionda' di Blake Edwards? Un po' del vecchio Frank Capra. Solo che in questo un po' pasticciato, ma carinissimo 'Mi rifaccio vivo' di Sergio Rubini, scritto assieme a Umberto Marino e a Carla Cavalluzzi, l'ispirazione viene applicata al cinema fantastico dello stesso Rubini, che ci aveva dato un piccolo gioiello come 'L'anima gemella' dove già c'erano scambi di personalità e di corpi, trova la sua chiave di messa in scena grazie a gran parte dei nostri migliori attori brillanti, che il regista riesce a dirigere alla perfezione. Così, anche se il copione ha qualche pecca, la commedia è gradevole, e anzi, salutiamo il film come un buon ritorno di Rubini al suo cinema più personale, leggero e divertente. (...) Se due vecchie volpi come Minnelli e Edwards nei loro film avevano evitato di farci affezionare ai protagonisti morti e li avevano catapultati nei corpi di due belle donne per effetti comici, qualcosa ne avranno saputo di commedia, no?, Rubini e i suoi sceneggiatori tentano una carta ben più difficile. Un comico posseduto da un altro comico. Ahi! Così Solfrizzi è costretto, ma se la cava bene, a doverci fare ricordare Lillo perdendo un po' della sua personalità. E per sviluppare meglio la trovata gli sceneggiatori si inventano qualcosa di ancora più rischioso. Quando Solfrizzi si guarda allo specchio compare Lillo, ma non un Lillo specchiante, proprio un Lillo che va per i fatti suoi. E i due si parlano e discutono. In quanto amico di Lillo meglio così, ma certo la cosa obbliga Solfrizzi a comportami con gli specchi un po' come un vampiro, anche se alla fine la trovata è divertente. (...) un Neri Marcorè di gran divertimento (...) Margherita Buy sempre brava (...) Valentina Cervi, particolarmente aggressiva. (...) Con un copione così complicato e con così tanti attori diversi non era facile muoversi, e invece Rubini compie il piccolo miracolo di farci divertire e di farci seguire con piacere il film. Muove benissimo i suoi attori, dalle amiche di sempre, Buy e Cervi, ai nuovi venuti Lillo e Neri. Riesce anche a far funzionare il personaggio più difficile da gestire, quello di Solfrizzi, che sembra per metà posseduto da Lillo e per metà dallo stesso Rubini. Per sé si concede dei buffi cammei che ci lasciano il desiderio di vederlo recitare da protagonista in un film suo. Fra i tanti caratteristi rivediamo con gran piacere Dodi Conti nei panni di un sotto-angelo e Enzo lacchetti come tassista-Caronte. Purtroppo, la presentazione del film ha coinciso con la decisione del suo produttore, Domenico Procacci, di chiedere l'aiuto statale per mantenere aperta la sua casa di produzione, la Fandango, in pesantissima crisi economica. Insomma, più o meno come si trova Lillo all'inizio del film..." (Marco Giusti, 'Il Manifesto', 9 maggio 2013) "Non convince del tutto (...) 'Mi rifaccio vivo' di Sergio Rubini (...). L'idea di partenza è decisamente buona, ma una storia così avrebbe meritato uno sviluppo più accurato." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 9 maggio 2013) "Frizzante, ironica regia di Sergio Rubini, 'Mi rifaccio vivo' è meglio di tante italiche commedie ultime scorse: mood agrodolce, spunti di cronaca (i suicidi per la crisi), cast indovinato (c'è anche Margherita Buy eccitata dal bondage) e ben diretto, leggerezza senza troppi cliché e un messaggio di riconciliazione autarchico. Perché il vero nemico beve the verde, mangia sushi e prega il ginseng: un'ode al made in Italy?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 9 maggio 2013) "Piacerà anche a chi come noi non ha mai fatto un tifo pazzo per i film di Rubini. I quali per un verso o per l'altro non sono mai del tutto soddisfacenti (a parte, forse, 'La terra'). 'Mi rifaccio vivo' ha buchi di soggetto, sceneggiatura e regia grossi così, ma non annoia mai. Tira fuori il meglio da Lillo ed Emilio Solfrizzi (lo stesso personaggio prima e dopo la dipartita). E l'idea del bordello marxista è strepitosa (i primi ad apprezzarla saranno forse proprio i marxisti puri e duri di comprendonio)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 9 maggio 2013) "Il tema è tristemente attuale, soprattutto in questo 2013. Di notizie di imprenditori sul lastrico che si tolgono la vita, purtroppo, è piena la cronaca nera. Sergio Rubini prende questo spunto per virare, rapidamente, dalle parti della commedia, con un film che arditamente farebbe pensare al cinema di Frank Capra. Non è così, per via di una sceneggiatura sempliciotta, stranamente lenta (nella parte centrale), talvolta ripetitiva, che fa raramente sorridere nonostante il prodigarsi di un cast di bravi professionisti. (...) (divertente la trovata di affidare le chiavi dell'aldilà a un Marx che spedisce automaticamente gli imprenditori nel seminterrato) (...). Il pensiero va subito a 'Il paradiso può attendere' o, in tema di seconde occasioni, al (purtroppo) sottovalutato 'The Family Man', tanto per citarne un paio. Giusto il pensiero, però. Da apprezzare, comunque, l'ironia su certe mode salutiste e pseudofilosofiche." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 9 maggio 2013) "Commedia la più scombinata e rischiosa di Rubini, le giova un sottotitolo che chiarisce il tema generale e l'attualità particolare nell'Italia del «tutti contro tutti»: le conseguenze del rancore. Inefficace, se non come comica alla Stanlio e Ollio, almeno così è tentata da Solfrizzi e Lillo." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 10 maggio 2013)

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