L'intrepido2013

SCHEDA FILM

L'intrepido

Anno: 2013 Durata: 104 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:COMMEDIA, DRAMMATICO

Regia:Gianni Amelio

Specifiche tecniche:DCP

Tratto da:-

Produzione:CARLO DEGLI ESPOSTI PER PALOMAR CON RAI CINEMA

Distribuzione:01 DISTRIBUTION

 

SOGGETTO

Amelio, Gianni
 
 
 

MONTAGGIO

Paggi, Simona
 

SCENOGRAFIA

Basili, Giancarlo
 

COSTUMISTA

Francioni, Cristina

TRAMA

Immaginiamo che esista un nuovo mestiere e che si chiami "rimpiazzo". Immaginiamo che un uomo senza lavoro lo pratichi ogni giorno, questo mestiere. E dunque che lavori davvero oltre misura e che sia un uomo a suo modo felice. Lui non fa altro che prendere, anche solo per qualche ora, il posto di chi si assenta, per ragioni più o meno serie, dalla propria occupazione ufficiale. Si accontenta di poco, il nostro eroe, ma i soldi non sono tutto nella vita: c'è il bisogno di tenersi in forma, di non lasciarsi andare in un momento, come si dice, di crisi buia. Immaginiamo poi che esista un ragazzo di vent'anni, suo figlio, che suona il sax come un dio e dunque è fortunato perché fa l'artista. E immaginiamo Lucia, inquieta e guardinga, che nasconde un segreto dietro la sua voglia di farsi avanti nella vita. Ce la faranno ad arrivare sani e salvi alla prossima puntata?

CRITICA

"Gianni Amelio per la sesta volta a Venezia dove, grazie a 'Così ridevano', si è meritato nel '98 il Leone d'oro. Adesso ci propone una storia che, nonostante un finale implicitamente quasi lieto, è abbastanza dolente e sconfortata, pur facendo qua e là anche sorridere con letizia partecipe. (...) Un film quasi amaro. Quel lavoro precario del protagonista Amelio ce lo ha proposto, in una Milano di periferia, algida e spesso piovosa, nell'ambito di mestieri quasi sempre durissimi, lasciando che vi ponga mano un Antonio che, nonostante tutto, per la sua innata bontà, è spesso sereno se non proprio ottimista, anche se, a farcene intendere certe desolazioni segrete, in una scena conclusiva di un episodio viene rappresentato in mezzo al buio, con lo schermo che via via gli si restringe attorno, come nei finali di certi film di Chaplin. E a Chaplin non si può non pensare incontrando nei panni di quel protagonista il nostro grande Antonio Albanese prodigo, ad ogni scena, di una mimica in grado di disporre di una infinità di sfumature sottili, ora ironiche, ora afflitte, ora colme di tenerissimo affetto (per il figlio e per la ragazza che si ucciderà). Mentre attorno gli fan corona le immagini stupende fra l'azzurro e il grigio di un direttore della fotografia come Luca Bigazzi. Ad ogni film sempre più suggestive." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 5 settembre 2013) "Gianni Amelio con 'L'intrepido' sceglie un percorso opposto: pedina (zavattinianamente?) la realtà sperando che ci regali «da sola» qualche scampolo di verità. Sceglie di parlare di crisi e disoccupazione nella città - Milano - che da sempre si identifica col lavoro e usa Antonio Pane (cioè Albanese) come una specie di Ercolino-sempre-in-piedi per mostrare le facce della precarietà. Gli fa attraversare tante situazioni diverse con lo stesso atteggiamento paziente e accomodante: persino di fronte alle ignominie più evidenti, trasforma la rabbia (che probabilmente gli monta dentro) in rassegnazione e «fuga». Ogni tanto ci propone uno spunto di riflessione: per trovare lavoro il protagonista deve emigrare in Albania, ribaltando il percorso di 'Lamerica'; messo a confronto con due ventenni (una ragazza depressa, il figlio insicuro) Antonio sembra più attrezzato di loro a sopportare i colpi della vita. Ma poi evita di trarre qualsiasi conclusione, di ragionarci sopra. E' questa scelta che stupisce: il film non «cresce» mai, inanella situazioni che sembrano vivere solo della bella fotografia di Luca Bigazzi, finisce per «incartarsi» nella rassegnazione di Antonio. Sessant'anni fa, in una Milano che ancora credeva ai miracoli, 'Totò il buono' usava la magia per far trionfare la «follia dei poveri» di fronte alla protervia dei ricchi. Oggi Antonio il paziente non è capace di aprire gli occhi né di fronte ai nuovi conflitti di classe (fuori luogo il discorso che si sente di un sindacalista) né alla rabbia dei giovani. Può sorridere, come fa nell'ultimissima inquadratura, ma basta? Direi proprio di no." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 5 settembre 2013) "'L'intrepido', (...) che Gianni Amelio ha costruito con Antonio Albanese cercando una difficile posizione tra realismo metropolitano, fiaba della miseria e parabola sulla paternità, era, e resta, una scommessa, più che un risultato: incontrare la sensibilità e l'umorismo sociale, grottesco, di Albanese e stemperarlo nel suo cinema autoriale, profondo, freddo e analitico, sempre cinefilo. Già nella sceneggiatura, però, ci sono contrasti che non si armonizzano, il piano favolistico di un nuovo Charlot dei tempi moderni e il piano cronachistico della dura realtà di sopravvivenza, come non si armonizzano certe 'intonazioni' francescane di Albanese davanti alle botte che il mondo picchia. E non si perde mai, purtroppo, l'impressione che resistenza e speranza siano decise più a tavolino, pensando a Zavattini o Comencini, che nella coerenza dei personaggi e delle azioni-reazioni. Amelio è un grande autore del cinema italiano e resta tale anche con questo inciampo, accolto alla proiezione stampa tra applausi e buuh. Va visto per decidere che cosa ci dà, comunque, questo film inciso nel presente (nelle sale da oggi)." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 5 settembre 2013) "Piacerà a chi attendeva da tempo un bel ritorno di Gianni Amelio. Non sarà deluso, anche se i troppi anni di latitanza si fanno sentire Ma questa Milano cupa e spesso disperata è messa in scena spesso con il pathos della Torino di 'Così ridevano', il top della carriera del Gianni. Antonio Albanese (l'unico attore nostrano a sembrare convincente in parti di lavoratore manuale) mette una bella ipoteca alla coppa per il miglior attore." (Giorgio Carbone, 'Libero', 5 settembre 2013) "104 minuti gravati da simbolismo, macchiettismo, retorica e imbarazzanti pause narrative. Schiacciati da apparizioni fantascientifiche (Sandra Ceccarelli nel ruolo dell'ex moglie che lo incontra al ristorante, Bedy Moniti nei panni di un'esaminatrice) e da un volo onirico e nostalgico sul Novecento e sulle Singer che cuciono gli spolverini, che non restituisce un filo per orientarsi, scuotersi o commuoversi davvero. E' tutto programmatico. Enunciato. Posticcio. Personaggi e situazioni. Sui titoli di coda successivi a un finale irrisolto e consolatorio, il fischio in lotta con l'applauso, sembra introdurre finalmente la dialettica. E un'illusione. Allo schiaffo futurista della contestazione segue calma piatta. In mancanza di Goffredo Fofi ad agitare ragioni e bastone per difendere il lavoro dell'amico Gianni, viene eretto un Piave di riserva. Amelio - un signore che ha fatto film bellissimi, l'ultimo regista italiano a vincere il Leone d'oro 15 anni fa - non foss'altro che per rispetto, non subirà dileggi. (...) Amelio e lo sforzo del suo attore (complimenti reciproci tra i due) ne escono sorprendentemente trionfatori. Meritavano la complessità di un ragionamento. Invece, messa cantata. Conformismo bolso. Le cose spiacevoli non richiedono sincerità. Si dicono alle spalle. A voce bassa. Non si sa mai. Il Festival c'è anche l'anno prossimo." (Malcom Pagani, 'Il Fatto Quotidiano', 5 settembre 2013) "Commedia? Chi ha detto commedia? Albanese lavoratore sostituto - sui cantieri e al mercato del pesce - è di una tristezza infinita. Ancor più triste è dover constatare lo stato pietoso della sceneggiatura. L'accumulo di scenette, nella prima metà. L'accalcarsi di scene madri, nella seconda. Pedofilia. Suicidio di una ragazza a cui fanno male i capelli. Alla frase accorata «i libri sono sempre qualcosa di speciale» abbiamo deciso di tornare analfabeti." (Mariarosa Mancuso, 'Il Foglio', 5 settembre 2013) "Garbata commedia, più agra che dolce, che racconta, come in una favola, i travagli di un uomo (fin troppo) buono. (...) Il misurato Antonio Albanese è disposto perfino a non farsi pagare pur di non venir meno a dignità e onestà. P.S. Davvero inedita Milano, anche nella toponomastica: si chiama via Padova, non viale Padova." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 12 settembre 2013) "Malinconico, ma non di cattivo umore, Amelio pensa al cinema che fu (lo Chariot vagabondo ma anche il Jerry Lewis ragazzo tuttofare e il primo Olmi) e racconta una novella che attraversa i nostri giorni duri, quasi a passo di danza. Non senza qualche scatto di nervi (un giovane suicidio) e un velo di autoironia (il ritorno in Albania, dopo l'utopia selvaggia de 'Lamerica'). Forse chi vuole, potrà ritrovarsi qual era. Le fantasie infantili però sono svanite. L'antico giornalino ('L'intrepido', insomma) magari è ancora nel cassetto del regista. Ma il biondo 'principe del sogno' non cavalca più sul cavallo bianco." (Claudio Carabba, 'Corriere della Sera Sette', 13 settembre 2013)

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