Leviathan2014

SCHEDA FILM

Leviathan

Anno: 2014 Durata: 140 Origine: RUSSIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Andrey Zvyagintsev

Specifiche tecniche:SCOPE, DCP (1:2.35)

Tratto da:-

Produzione:NON STOP PRODUCTION

Distribuzione:ACADEMY TWO (2015)

ATTORI

Aleksei Serebryakov nel ruolo di Kolia
Elena Lyadova nel ruolo di Lilya
Vladimir Vdovitchenkov nel ruolo di Dmitri
Roman Madyanov nel ruolo di Vadim Cheleviat
Anna Ukolova nel ruolo di Angela
Alexey Rozin nel ruolo di Pacha
Sergey Pokhodaev nel ruolo di Roma
Kristina Pakarina
Alim Bidnenko
Lesya Kudryashova
Aleksey Pavlov
 
 

MUSICHE

Glass, Philip
 

MONTAGGIO

Mass, Anna
 

SCENOGRAFIA

Ponkratov, Andrey
 

COSTUMISTA

TRAMA

Kolia vive con la giovane moglie Lilya e il figlio Roma, avuto da un precedente matrimonio, in una piccola città nel nord della Russia, sul Mare di Barents, dove gestisce un'autofficina. Vadim Cheleviat, il sindaco della città, propone a Kolia di vendergli il terreno, la casa e l'officina, ma l'uomo non sopporta l'idea di perdere tutto ciò che possiede; non solo la terra, ma anche la bellezza che lo circonda fin dalla nascita. Al rifiuto di Kolia, Vadim Cheleviat diventa più aggressivo...

CRITICA

"Luoghi magnifici, personaggi meschini. Spazi immensi e vite minuscole, o meglio tragicamente ordinarie, dominate dall'utile e dai rapporti di forza. Una Natura grandiosa e terribile, in cui tutto sembra parlare di Dio o almeno di speranza, e una società condannata al peggior immobilismo, che come unica via d'uscita concede la vodka. (...) Strano film questo 'Leviathan' (...). Il titolo rimanda al mostro marino della Bibbia, ma anche al Leviatano di Hobbes. Che poi sarebbe lo Stato, mostro indomabile, padrone dell'uomo e del suo destino. La fattura non potrebbe essere più classica. Ma il regista, leone d'oro a Venezia anni fa col bellissimo 'Il ritorno', gioca a rimpiattino con lo spettatore nascondendo il senso del racconto dietro tempi dilatati e inquadrature perfette per come concentrano in una sola immagine le peggiori bassezze e le altezze sublimi dell'ideale. (...) un 'cattivo' abbastanza terrificante, si impone solo nella seconda parte del film, per accelerare il destino del povero Kolia. (...) il pope locale, forse il personaggio più sinistro del film, predica la sacra alleanza tra religione e potere trasformando quello che sembrava un thriller carico di tensione e mistero in una requisitoria implacabile e forse necessaria, ma almeno per noi un po' ovvia, contro le cosche al potere nella Russia di Putin. Che peraltro produce e benedice attraverso il Ministero della Cultura. Evidentemente anche in Russia per fortuna i censori possono distrarsi. Ma con attori di questa portata, e immagini così potenti, lasciarsi sedurre è davvero il minimo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 7 maggio 2015) "La potenza del film di Zvyagintsev (...) origina da un'inedita congiunzione: se nei personaggi del sindaco e dei suoi scherani ricorda una storia di mafia degli anni 70, 'Leviathan' si eleva però a una dimensione metafisica, alludendo al silenzio di Dio, al peccato originale, all'imperscrutabilità del destino umano; il tutto senza esprimere una morale: un punto di vista morale, semmai, ma di integrale pessimismo. Erede di una lunga stirpe di perseguitati dall'ingiustizia (il regista pensava anche al Michael Kohlhaas di von Kleist ), Kolia è un moderno Giobbe su cui le sventure si abbattono tutte in una volta (l'esproprio, il tradimento delle persone più care, la perdita della libertà ) senza un motivo apparente. Roba che neppure nella letteratura più amara sullo strapotere oppressivo della burocrazia zarista. Fa paura questa Russia odierna, rappresentata con le tinte fosche del totalitarismo che schiaccia la gente senza appello; ridicolizzata in un potere che include globalmente politici, polizia e giudici; impregnata da un sistema di favoritismi, prebende e interessi privati (problema, come ognun sa, non solo russo...) a fronte del quale l'individuo può solo soccombere. Con l'aggiunta, se non bastasse, di una sequenza in cui il regista mostra la restaurata influenza del clero ortodosso, epurato al tempo del comunismo e che oggi è tornato a partecipare al banchetto dei potenti. Equi al film va riconosciuto un pregevole valore aggiunto. Per definizione risulta tanto più facile parteggiare per le vittime, quanto più queste risultano simpatiche. Non è proprio il caso di Kolia, un uomo umorale, sanguigno e violento che fatica assai a sedurci; e col quale, tuttavia, non possiamo non essere solidali. Mentre la natura, immobile e solenne, assiste nella più completa indifferenza al suo dramma e lui (è un motivo tragicomico ricorrente per tutto il film ) si sbronza a morte di vodka assieme ad amici i quali, per festeggiare un giorno di vacanza, organizzano un barbecue condito da un'allegra gara di tiro a segno con fucili e kalashnikov." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 7 maggio 2015) "L'ambientazione in un'ansa sperduta del mare di Barents, un regista austero pluripremiato nei festival internazionali, le recitazioni scolpite e una forte ambizione metaforica con presa diretta sulle disgrazie della Russia contemporanea. «Leviathan» del siberiano Zvyagintsev è un film di grande pregio e notevole densità, ma non è il caso di arrendersi all'aura che lo pervade senza segnalare le crepe che s'aprono nella sua struttura autoriale blindata. Il doppio riferimento del titolo chiama in causa la seicentesca opera filosofica di Hobbes e soprattutto «Il libro di Giobbe» contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana: sta, infatti, nella rilettura del testo incentrato sui reiterati tormenti patiti dal ricco e pio mercante, che tuttavia si rifiuta sempre di maledire il nome di Dio, la chiave per tentare di sintonizzarsi con il lirismo algido e scarnificato della parabola scritta dall'autore di «Il ritorno» insieme a Oleg Negin. Il meccanico Kolia (...) riceve la visita dell'avvocato Dmitri (...) venuto da Mosca per respingere il tentativo d'esproprio (...) messo in atto dal sindaco con evidenti fini speculativi. Quest'ultimo è il personaggio più scontato del film, un autentico farabutto totalmente dedito al culto del proprio potere e pronto a qualsiasi abuso, imbroglio o crimine pur di salvaguardarlo (...). La condizione della nuova Russia, rappresentata da questo feticcio sul quale è facile far convergere odio e schifo adeguati, si rivela ramificata nei tre canonici poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) altrettanto corrotti e brutali, mentre s'insinua anche l'ambiguo motivo del (mancato?) distacco dal passato regime, come sottolineano le sequenze del picnic in cui Kolia e gli amici usano i ritratti di Krusciov, Breznev e Gorbaciov come bersagli per il tirassegno. L'assunto beffardo della «sicurezza» offerta dallo Stato in cambio della rinuncia alla libertà individuale, comprendente le sprezzanti allusioni all'alcolismo dilagante e l'ipocrisia della Chiesa ortodossa, ha il difetto di costituirsi in un quadro cupo e massimalista che sarebbe parso eccessivo persino a Zola, e le superbe allegorie allestite per il tramite del paesaggio desolato e primordiale, sulle cui spiagge torreggiano imbarcazioni sventrate e scheletri di balene, finiscono col negare allo spettatore la chance d'esercitare il libero arbitrio emotivo e mentale al cospetto di un teorema già dimostrato." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 7 maggio 2015) "Foriero di suggestioni biblico/filosofiche, il titolo 'Leviathan' è quanto mai giustificato, eppure se mettiamo un attimo da parte il suo impegnativo carico simbolico, vediamo che il nucleo del nuovo film, il quarto, di Andrey Zvyagintsev è quello naturalistico di un dramma sociale avvitato a un triangolo sentimentale dagli esiti fatali. (...) La Russia di 'Leviathan' è un paese di uomini infelici, abbrutiti, aggressivi e ubriachi, dove una battuta di caccia si può trasformare nel goliardico tiro a segno contro i ritratti di insigni statisti da Krusciov a Gorbaciov (ancora in attesa di «prospettiva storica» Eltsin e successori si salvano, in compenso una foto di Putin spicca nell'ufficio dell'orrido Vadim). Scritto da Zvygintsev e Oleg Negin (premiati a Cannes per la migliore sceneggiatura), il racconto si dipana con tempi ben calibrati assurgendo a livelli via via sempre più visionari; la musica di Philip Glass introduce metafisiche atmosfere, la fotografia di Mikhail Krichman è di evocativa bellezza, dei personaggi interpretati da attori eccellenti si apprezza il nitido spessore letterario: il dostoevskiano Alexej Serebryakov, la cechoviana Elena Lyadova e lo scellerato Roman Madyanov che chissà quanto sarebbe stato apprezzato dal nostro Franco Rosi." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 7 maggio 2015) "Il regista amplia lo spettro, approfondisce l'indagine, alza l'asticella poetica, e lo fa riprendendo in mano il 'Leviatano' di Hobbes, riesumando Giobbe e interpellando, nientemeno, la Giustizia. Quella con la G maiuscola, quella che pare latitare nella Russia qui e ora: passare in rassegna il panorama umano su schermo è disperante, tra preti farisaici, sindaci corrotti, avvocati senza quid, poliziotti imbelli, alcolismo e convenienza non si salva nulla, non si salva nessuno. Eppure, Zvyagintsev ha la forza di andare avanti, di sapere l'ineluttabile e consegnarvisi a testa alta: la compassione accompagna il nostro sguardo su Kolia, ma non può deviarne la traiettoria, mutarne il destino. Non serve qui evocare la Politkovskaja e altri cadaveri eccellenti, anzi, sarebbe sbagliato. Il pasoliniano 'Io so. Ma non ho le prove' non ha l'assillo di fare nomi e cognomi, piuttosto qui l'urgenza morale di delineare un'atmosfera di uniforme colpevolezza, correità, connivenza e corruttela: 'Leviathan' è lo scheletro del nostro presente, l'archeologia del nostro futuro, il mostro biblico fuori dal tempo ma così dentro le vite russe e, sì, pure nostre. Difficile, dunque, non farsi prendere dalla visione del film, che con dichiarata ambizione vuole essere per la Russia di Putin quel che i romanzi ottocenteschi furono per la Madre Russia zarista, non esclusa la denuncia del rinnovato apparentamento di potere temporale e religioso. Chi è Kolia se non la vittima predestinata, il capro espiatorio di un sistema di potere che ignora il singolo e appena dà qualche problema lo annienta? C'è oggi una legge, che non sia quella del più forte, e qualcuno disposto a farla rispettare in Russia? La risposta di Zvyagintsev è uno scheletro, relitto e reliquia della Russia che non è più e, tristemente, è ancora. Non perdetelo." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 7 maggio 2015) "Un film molto politico, 'Leviathan' di Andrei Petrovitch Zviagintsev (...). Non ce lo aspettavamo dal regista noto per aver vinto nel 2003, da esordiente, un leone d'oro a Venezia con un film molto più astratto, 'Il Ritorno'; il suo cinema appartiene a quella tendenza spiritualista che in Russia fa capo a Tarkovski e che, molto schematicamente, si potrebbe riassumere nell'idea che l'arte ha un compito metafisico fondamentale: preparare gli uomini ad accogliere la verità. Il cinema allora deve farsi parabola. Quella che porta il nome del mostro marino 'Leviathan' è ispirata al più filosofico dei libri del Vecchio testamento, il libro di Giobbe (...) il vero Leviatano del film non è una forza divina ma un mostro tutto terrestre, dotato di due teste: il potere politico da un lato, la chiesa ortodossa dall'altro. (...) La Russia di Andrei Petrovitch è universo oscuro e monocolore. Alla violenza del mare, nero e oleoso, che si infrange senza sosta sulle sue coste si oppone solo un altro liquido, trasparente ma non meno vischioso: quello che colando a fiumi dalle bottiglie di vodka, come un gorgo, risucchia le menti del popolo russo." (Eugenio Renzi, 'Il Manifesto', 7 maggio 2015) "Piacerà a chi vuol sapere qualcosa sulla Russia d'oggi, un posto (pare) dove campano bene solo i burocrati (lo spunto viene da un fatto vero). Il Leviatano, il mostro delle leggende, è il gigantesco castello delle leggine e delle scartoffie. Ottimi dialoghi, sontuose immagini del mare di Barents." (Giorgio Carbone, 'Libero', 7 maggio 2015) "Sa scavare nelle psicologie dei personaggi il regista russo Andrey Vattelapesca, che però detesta la sintesi e adora viaggiare nelle metafore. (...) Il dramma di un uomo schiacciato dai soprusi e tradito da tutti in fin dei conti è un (bel?) mattone." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 7 maggio 2015)

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