Il canto di Paloma2009

SCHEDA FILM

Il canto di Paloma

Anno: 2009 Durata: 94 Origine: SPAGNA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Claudia Llosa

Specifiche tecniche:35 MM (1:1.85)

Tratto da:-

Produzione:OBERÓN CINEMATOGRÁFICA, VELA PRODUCCIONES, WANDA VISIÓN S.A.

Distribuzione:ARCHIBALD ENTERPRISE

ATTORI

Magaly Solier nel ruolo di Fausta
Susi Sánchez nel ruolo di Aída
Efraín Solís nel ruolo di Noé
Marino Ballón nel ruolo di Zio Lúcido
Antolín Prieto nel ruolo di Figlio di Aída
Bárbara Lazón nel ruolo di Perpétua
Karla Heredia nel ruolo di Severina
Delci Heredia nel ruolo di Zia Carmela
Anita Chaquiri nel ruolo di Nonna
Fernando Caycho nel ruolo di Melvin
Leandro Mostorino nel ruolo di Jonny
María Del Pilar Guerrero nel ruolo di Máxima
Edward Llungo nel ruolo di Marcos
Daniel Núñez nel ruolo di Amadeo
Summy Lapa nel ruolo di Chicho
 

SCENEGGIATORE

Llosa, Claudia
 

MUSICHE

Mutal, Selma
 

MONTAGGIO

Gutiérrez, Frank
 

COSTUMISTA

Villanueva, Ana

TRAMA

Appena nata, Fausta ha contratto una malattia nota come il "latte del dolore", un disturbo che colpisce solo le donne peruviane violentate o rapite durante gli anni della lotta terrorista. Sebbene quel terribile periodo sia ormai passato, Fausta non ha alcuna intenzione di ricordarlo, ma alla morte della madre si trova obbligata ad affrontare e superare le sue paure. Si scopre così che per impedire a chiunque di usarle violenza Fausta ha inserito nel suo corpo una patata, a mo' di scudo. L'improvviso decesso della madre spingerà la ragazza ad intraprendere un viaggio che la porterà, dopo un lungo percorso personale, ad abbandonare le sue paure e a conquistare la libertà.

CRITICA

"Interpretato da Magaly Solier, nel suo Paese nota come cantante (canta in lingua quechua), il film è la storia di un ritorno alla vita: perché, afferma la regista, anche dopo episodi così atroci bisogna sforzarsi di ritrovare un equilibrio e la fiducia nel prossimo." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 13 febbraio 2009) "L'italo-peruviana Claudia Llosa, in 'La teta asustada', alla lettera 'La tetta spaventata', ci porta nel mondo magico e insieme concreto, quotidiano, di una giovane andina che nella prima scena (magnifica) dà l'addio alla madre, vittima di uno stupro ai tempi del terrorismo, e che dopo scopriamo vivere... con una patata nella vagina per difendersi, secondo una superstizione locale, dalle violenze. Ironia della sorte, la malinconica ma bellissima Magaly Solier, quando non lavora come hostess in sfrenate e coloratissime feste di nozze popolari, uno spettacolo davvero insolito, sta a servizio da una nevrotica e altezzosa pianista alto borghese che le ruberà le note delle sue ingenue, ammalianti nenie popolari, ma non l'anima. Un film di cui si potrebbe parlare a lungo, se mai qualcuno avrà il coraggio di comprarlo per l'Italia. "(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 14 febbraio 2009) "Ma invece di scegliere un racconto tradizionale, dove i piccoli e grandi fatti quotidiani aiutano lo spettatore a capire la psicologia (e le paure) della protagonista, la regista sceglie un'altra strada, meno esplicita, fatta solo di allusioni, di particolari significativi. E una linea narrativa che si preoccupa soprattutto di giustapporre l'universo chiuso della villa dove Fausta presta servizio al poverissimo barrio della periferia di Lima dove invece la ragazza abita con lo zio e gli altri membri della famiglia. Così da una parte una macchina da presa abbastanza incombente cerca le paure e le angosce di Fausta dentro le azioni quotidiane del lavoro (...) mentre dall'altra inquadrature più larghe e composite inseriscono Fausta nel mondo familiare del barrio, fatto di riti stereotipati e usanze identitarie. Che la regista osserva con lo sguardo dell'antropologo, di cui conosce perfettamente il valore sociale di promozione e gratificazione (le scene di matrimonio, specialmente il «sì collettivo» e la «processione» dei regali), ma anche la capacità di cementare e gratificare l'unità del gruppo familiare. (...) Il film procede così, registrando più che veramente mettendo a confronto due mondi che faticano a comunicare, di cui non nasconde le ingenuità e le perfidie, ma che acquistano una consistenza narrativa soltanto in funzione della "presa di coscienza" di Fausta, finalmente capace di confrontarsi con le proprie ossessioni solo quando comincia a prendere coscienza dei propri "diritti" (almeno quelli che la sua ricca padrona vorrà all'improvviso negare). Senza voler per forza risolvere ogni cosa ma aprendo finalmente lo sguardo della sua protagonista a un sorriso di speranza." (Paolo Mereghetti, "Corriere della Sera, 8 maggio 2009)

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