Io non ho paura2003

SCHEDA FILM

Io non ho paura

Anno: 2003 Durata: 108 Origine: SPAGNA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Gabriele Salvatores

Specifiche tecniche:-

Tratto da:romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti (ed. Einaudi-Stile Libero)

Produzione:COLORADO FILM, CATTLEYA, ALQUIMIA CINEMA, THE PRODUCERS FILM, MEDUSA

Distribuzione:MEDUSA DISTRIBUZIONE

ATTORI

Giuseppe Cristiano nel ruolo di Michele
Mattia Di Pierro nel ruolo di Filippo
Aitana Sánchez-Gijón nel ruolo di Anna
Diego Abatantuono nel ruolo di Sergio
Dino Abbrescia nel ruolo di Pino
Adriana Conserva nel ruolo di Barbara
Antonella Stefanucci nel ruolo di Assunta
Fabio Tetta nel ruolo di Teschio
Giorgio Careccia nel ruolo di Felice
Giulia Matturro nel ruolo di Maria
Michele Vasca nel ruolo di Candela
Riccardo Zinna nel ruolo di Pietro
Stefano Biase nel ruolo di Salvatore
Susy Sanchez nel ruolo di Madre di Filippo
 
 

MONTAGGIO

Fiocchi, Massimo
 

SCENOGRAFIA

Basili, Giancarlo

TRAMA

Estate del 1978, l'estate più calda del secolo. Di giorno, il piccolo paesino di Acque Traverse sembra abbandonato. Da tempo le scuole sono chiuse per le vacanze e gli adulti, per evitare l'afa, preferiscono restare chiusi in casa. Solo un piccolo gruppo di ragazzini si aggira fra le case e le campagne. Durante una di queste sortite il piccolo Michele, nove anni, fa una scoperta sconvolgente: gli adulti del paese tengono un suo coetaneo segretato nel pozzo di un casale abbandonato. Il piccolo non comprende i misteri di questa strana vicenda dove, fra le altre cose, sembrano essere coinvolti anche i suoi genitori. Una storia i cui risvolti cambieranno per sempre la sua esistenza.

CRITICA

"Ecco il film che attendevamo da Gabriele Salvatores, le cui ultime prove ci avevano interessato senza persuaderci del tutto. 'Io non ho paura' è un risultato compatto, completo (...) L'atmosfera del romanzo di Niccolò Ammaniti (anche sceneggiatore) comporta uno 'spirito del luogo' che evoca un certo Stephen King. Salvatores lo coglie benissimo, con l'aiuto della macchina da presa di Italo Petriccione, passando dalla luce abbacinante del campo al buio e tenendo l'inquadratura costantemente ad altezza di bambino, in modo da costituire per lo spettatore un alter-ego infantile attraverso il quale osservare gli eventi". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 9 febbraio 2003) "Di solito il cinema non racconta i bambini, li usa per fare piangere o ridere. E di solito quando un regista adatta un romanzo per lo schermo rischia di tradirlo troppo, snaturandolo, o troppo poco, limitandosi a una piatta illustrazione. Invece Gabriele Salvatores è riuscito a fare un film sui bambini, con la sensibilità di un Comencini o di un Truffaut, e a tradurre in immagini il bel romanzo di Niccolò Ammaniti, senza tradirlo, ma facendolo diventare puro cinema, dinamico e profondo. (...) Oltre a dimostrare di saper usare l'immagine per trasformare simboli, etica e nostalgia in concretezza narrativa e in ritmo coinvolgente, Salvatores è stato molto bravo nella scelta e nella direzione dei suoi attori (e non attori). Cristiano, dai grandi occhi espressivi, ha la giusta introversione e una convincente purezza, Di Pierro una perfetta e indifesa angelicità; il padre Dino Abbrescia le necessarie ruvidità e impotenza e la madre Aitana Sànchez-Gijon la giusta dolente bellezza. Ma forse la vera sorpresa è Abatantuono, carogna fino all'ultima battuta, che, con raffinata misura, va a pescare il suo lombardo cattivo con stecchino fra i denti direttamente dal bar del Giambellino. (Stefano Lusardi, 'Ciak', 28 febbraio 2003) "Scritto dallo stesso Ammaniti con Francesca Marciano, il film lascia l'Italia ancor più sullo sfondo per concentrarsi sui bambini e sulla loro visione delle cose. Ma a forza di smussare e ingentilire i toni, Salvatores cade in una medietà di stile che piacerà forse alle grandi platee ma convince solo in parte chi diffida dei cliché. (...) Reclutati sul posto i piccoli attori, Salvatores non va fino in fondo. Da un lato segue il percorso interiore di Michele, il disagio palpabile in famiglia, i giochi crudeli, le fantasie bizzarre circa il rapito. Dall'altra smorza i dialetti, esalta le immense distese di grano, cerca appena può il contrappunto comico o grottesco, non cerca immagini nuove ma usa toni e colori quasi da spot. Finendo col rendere inoffensivo perfino il mondo brulicante e minaccioso in cui è confinato il piccolo rapito, lordo dei suoi escrementi e convinto di essere già morto visto che i suoi genitori non lo vengono a prendere. Insomma, è come se i fantasmi evocati fossero fin troppo minacciosi per lasciarli scorrazzare liberamente sullo schermo, e si dovesse per forza addomesticarli scegliendo i toni più lievi. Ma è un calcolo di natura commerciale che spegne la materia ribollente di 'Io non ho paura' e lo condanna a restare nell'affollato limbo delle occasioni a metà". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 14 marzo 2003) "Allarmante come una favola nera, teso come un thriller, curioso come un gioco, 'Io non ho paura', che Gabriele Salvatores ha tratto quasi fedelmente dal romanzo di Niccolò Ammaniti, è davvero un bel film: forte, ben strutturato e girato, semplice ed estremamente raffinato, con bravi interpreti bambini e non, con un forte senso della Natura, senza patetismi né moralismi. (..) La bellissima storia è raccontata come meglio non si potrebbe. Nessun luogo comune, niente metafore, asciutta sobrietà, realistica serietà. I bambini non vengono eletti a simboli d'innocenza: i loro giochi sono prepotenti e crudeli quanto gli affari sporchi degli adulti; nel bambino salvifico, curiosità e spirito d'avventura sono forti quanto la bontà; quando capisce cosa stiano facendo i propri genitori, il bambino non li giudica ma disobbedisce e per contraddizione rimedia alle loro colpe. Gli adulti non vengono promossi carogne: agiscono orribilmente per miseria, ignoranza o follìa, per obbedienza meridionale a Diego Abatantuono, desolato capobanda settentrionale. I bambini sono filmati con grande naturalezza nelle corse a perdifiato in bicicletta e nei giochi, ma l'occhio che guarda è adulto. (..) La famiglia non esiste: la madre furente e il padre assente sono soltanto persone che si arrabbiano, che chiedono complicità, che danno fastidio e danno da mangiare. In tutta la vicenda straziante, una autentica prova di maturità, bravura, intelligenza: neppure per un attimo si indulge al sentimentalismo, non vengono mai le lacrime agli occhi". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 14 marzo 2003) "Partito da un esile e fortunato romanzo di Niccolò Ammaniti (che deve qualcosa a 'Stand By Me' di Stephen King), Gabriele Salvatores narra 'Io non ho paura' con un bel passo lento, riducendo al minimo i dialoghi. Il tema non è la perdita dell'innocenza, ma la possibilità di lottare contro i mostri che ci assediano il cuore. Le favole sono più spaventose, se l'orco è il padre amoroso. Nonostante qualche eccesso di calligrafia (un po' di spighe di troppo, l'inquadratura finale), Salvatores, dopo alcuni film coraggiosi, ma sbagliati, ritrova una vena tesa e compatta, poeticamente sgomenta". (Claudio Carabba, 'Sette', 26 marzo 2003)

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