Il villaggio di cartone2011

SCHEDA FILM

Il villaggio di cartone

Anno: 2011 Durata: 87 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Ermanno Olmi

Specifiche tecniche:35 MM

Tratto da:-

Produzione:LUIGI MUSINI PER CINEMAUNDICI IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA, IN ASSOCIAZIONE CON EDISON SPA

Distribuzione:01 DISTRIBUTION

ATTORI

Michael Lonsdale nel ruolo di Vecchio prete
Rutger Hauer nel ruolo di Sacrestano
Alessandro Haber nel ruolo di Graduato
Massimo De Francovich nel ruolo di Medico
Elhadji Ibrahima Faye nel ruolo di Soccorritore
Irima Pino Viney nel ruolo di Magdahà
Fatima Alì nel ruolo di Fatima
Samuels Leon Delroy nel ruolo di Bardo
Fernando Chironda nel ruolo di Cherubino
Souleymane Sow nel ruolo di Avverso
Linda Keny nel ruolo di Madre
Blaise Aurelien Ngoungou Essoua nel ruolo di Padre
Heven Tewelde nel ruolo di Miriam
Rashidi Osaro Wamah nel ruolo di Testimone
Prosper Elijah Keny nel ruolo di Bimbo
 

SOGGETTO

Olmi, Ermanno
 
 

MONTAGGIO

Cottignola, Paolo
 

SCENOGRAFIA

Pirrotta, Giuseppe
 

TRAMA

Dedicato al tema dell'immigrazione, il film vede protagonista un vecchio sacerdote che, dopo la dismissione della chiesa della sua parrocchia, troverà ancora una ragione per la sua fede con una nuova missione: aiutare gli immigrati clandestini.

CRITICA

Dalle note di regia: "La narrazione non evidenzierà solamente il più appariscente, e talvolta scontato, Problema Razziale ma soprattutto il dialogo tra religioni che, quando si liberano dal gravame delle chiese come rigide istituzioni che separano, allora rendono non solo possibile l'incontrarsi ed il riconoscersi ma suscitano anche condivise solidarietà." "Accerchiati in una chiesa sfitta di nome ma non di fatto, i migranti sentono gli elicotteri e vedono le luci blu, intuiscono le sagome inquietanti del Sistema e gli zombie delle Istituzioni, ma sono al sicuro: non c'è più il crocefisso, ma Dio c'è. E c'è il vecchio prete (Michael Lonsdale), che vede trasformarsi il tempio ne 'Il villaggio di cartone' quello che - dice Ermanno Olmi - ripara l'umanità. Fresco ottantenne, il maestro ritrova Rutger Hauer 23 anni dopo 'La leggenda del santo bevitore' e trova tanti migranti: clandestini, ma l'accoglienza cristiana non conosce passaporto. Tra immagini caravaggesche, potere alla Parola (al limite del didascalico), teatralità e affabulazione umanista, Olmi abbatte le chiese ed esalta la fede: non è un volemose bene, perché tra i migranti c'è spazio per la suggestione terroristica. Ma rimane una lezione: non la vita come il cinema, ma il cinema come la vita. Perché non ci sono né migranti né stanziali, ma solo uomini. E sono tutti di passaggio." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 6 ottobre 2011) "Il bellissimo film di Olmi parte dal 101° chiodo, quello da cui cade il Cristo di una chiesa sconsacrata in cui il prete, accogliendo i migranti, ritrova la radice della pietas. Iper Olmi che con la costanza della ragione offre un apologo non realistico ma necessario intriso di cinema, molto teatro (vedere il cast) e anche un poco di tv nella claustrofobia di un ambiente (luci d'inverno dentro, nebbia e grigio fuori) in cui i sentimenti vivono con la nuova sacralità di chi non teme il passo dalla teoria all'azione." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 7 ottobre 2011) "Baracche improvvisate in una chiesa smantellata (futuro supermarket?) del nord-est nel 'Villaggio di cartone' di Ermanno Olmi. (...) I 'villaggi di cartone' sono oggi il fondamento della crescita: la potenza del 'Brio' non poggia forse sugli abitanti miseri ma sapienti delle bidonville? Prodotto dalla Edison, ma 'illuminato' da Olmi che, anni fa, aveva promesso di dirigere solo documentari, eccolo documentare il lavoro di attori, professionisti e non: Rutger Hauer, sacrestano pavido, Alessandro Haber, graduato fanatico, Massimo De Francovich, medico legalitario, madonne etiopi e 'pastori' senegalesi a impersonare con autorevolezza mantegnesca, viandanti e pellegrini bisognosi. Anche se qualcuno - senza scandalo in regia - trama rivoluzioni cruente dovute. Olmi (e il figlio Fabio con le sue luci severe) trasferisce così sul grande schermo in 'Il villaggio di cartone' la natività e altre parabole evangeliche di lotta. La parrocchia, denudata di ori e argento, ha rinchiuso nella cassa anche il crocifisso che in un folgorante esordio italiano Alice Rorhwacher aveva restituito al fiume, con rito non sacrilego. (...) Non la cerimonia fa la chiesa, ma le opere di bene. Aiutare i miseri. Salvare i derelitti. Claudio Magris e Gianfranco Ravasi hanno ornato il copione di motti di spirito filosofico che Olmi trasforma in visione. Per passare dalla stoltezza alla saggezza, al prendersi cura di sé c'è infatti bisogno dell'aiuto se non di dio, di un filosofo, una tradizione, una scuola, un padre o almeno di un cineasta illuminista." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 7 ottobre 2011) "Una chiesa viene dismessa, si imballano gli arredi, si stacca il grande crocefisso sospeso. Disertato dai fedeli, il tempio non serve più. Ma è veramente cosi? (...) Senza bisogno di oggetti 'sacri' il luogo sarà risacralizzato, restituendo al vecchio parroco una fede ormai in bilico. Innanzitutto è una questione di sguardi. Il maestro Ermanno Olmi realizza un apologo, ma meno che mai tiene una predica. Ci offre il proprio sguardo sul mondo, sulla pietà, sulla carità; e lo fa attraverso gli sguardi. Da quello del vecchio prete, quando dalle finestre non vede che una nebbia fitta, agli sguardi dei suoi attori (il veterano Michel Lonsdale e Rutger Hauer, già 'santo bevitore' per il regista), più importanti delle rare parole. Si condivida o meno il rapporto di Olmi con la dimensione del sacro, trattare con sufficienza il suo film significherebbe soltanto non saper guardare." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 7 ottobre 2011) "Un poeta, Olmi, pronto sempre a riflettere sui temi che gli sono più cari, la cifra autenticamente religiosa, quella morale, quella civile. Come in questo 'Villaggio di cartone' in cui c'è tutto, il suo mondo, le sue idee e il suo senso alto del cinema, senza mai un'ombra. L'attualità, il momento degli immigrati clandestini in fuga dalle loro terre, di passaggio in Italia prevedendo altre destinazioni più lontane. E dove sostano? Qui è la chiave. In una chiesa che è stata appena svuotata di tutto, nonostante il vecchio parroco che vi celebrava da cinquant'anni si sia rifiutato di lasciarla. (...) Con un linguaggio che dà spazio ai singoli, studiandone con realistica finezza le psicologie, ma riserva passaggi quasi lirici ai cori, traendo da quei clandestini echi ora drammatici ora calmi e quasi distesi. Mentre le immagini, sia nelle tante facce in primo piano, sia nei cori in campo lungo, si affidano sempre scomposizioni figurative a dir poco preziose, pur rigorosamente tenendo presente il reale ed evitando di cedere anche un solo istante alla calligrafia. Gli interpreti sono soprattutto facce, sempre però eloquentissime. Vi spiccano in mezzo, con segni forti quella di Michael Lonsdale, il prete, e quelle di Rutger Hauer e di Alessandro Haber. Sono la voce vera del film." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 7 ottobre 2011) "Di 'Il villaggio di cartone' di Ermanno Olmi molto si è parlato, si parla e si parlerà. (...) Le forze nuove sono quelle per ora deboli e impari dei pellegrini africani che sullo schermo arrivano simbolicamente da Goréé, il porto senegalese da cui venivano imbarcati gli schiavi per le Americhe. Sono gli esuli, infatti, a ridare senso allo spazio un tempo sacro, usando le panche per dormire, l'acquasantiera per raccogliere l'acqua piovana e le candele per scaldare. II regista orchestra come le voci di un coro questo presepio di personaggi volutamente stereotipi (la Maddalena pentita, la madre dolorosa, il traditore), mentre da fuori arrivano inquietanti segnali di pericolo - sirene, urla, tuoni - che intrecciati ad arte con gesti, dialoghi, luci (fotografia di Fabio Olmi) e musica (di Sofia Gubaidulina) creano una compatta atmosfera teatrale. Un teatro ispirato alla realtà dei sentimenti, con al centro Michael Lonsdale, mai così intenso, che, sulla china della morte, si interroga assillato dal dubbio. Più anarchico che mai, Olmi ha radicalizzato il suo pensiero fino a estrarne un puro distillato. Dietro al suo firmatissimo film c'è il travaglio di un sofferto ripensamento approdato al riscatto di una rarefatta serenità, nella speranza che lo svalorizzato paesaggio umano possa riacquistare un significato. Il finale però registra un mare grigio e agitato." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 7 ottobre 2011) "Venezia 2011, dove 'Il villaggio di cartone' è passato fuori concorso, ha espresso una tendenza: il grande tema del cinema italiano contemporaneo è l'immigrazione, il confronto con il 'diverso', la possibilità - ancora remota, ma già parlarne è positivo - di costruire anche da noi una società multiculturale e multietnica. C'è una grande differenza, rispetto al modo con cui affrontano tale argomento le cinematografie d'Inghilterra, di Francia, di Germania: l'accento è spesso marcato sul tema della legalità, perché l'Italia - e l'italiano medio - deve prima di tutto chiedersi, con la mente e con il cuore, se i migranti hanno o no il diritto di giungere sul nostro suolo. Sappiamo qual è la vostra risposta, cari lettori, e voi sapete qual è la nostra. Ma non si tratta di una risposta condivisa. Forze politiche (...) e correnti di pensiero optano per la chiusura, per la linea dura. Questo fa di noi, una volta di più, un paese poco normale. Crediamo sia importante, come cittadini prima ancora che come appassionati di cinema, confrontarsi con l'approccio di Ermanno Olmi. È un maestro riconosciuto, un artista che regala ai suoi spettatori perle di saggezza. 'Il villaggio di cartone' non è il suo film più bello - essere sempre al livello di capolavori come 'Il mestiere delle armi' è quasi impossibile - ma è un contributo forte alla discussione. (...) Olmi si pone l'interrogativo più alto: come porsi di fronte al 'diverso' - e quindi, in senso lato, al prossimo - con gli strumenti della religione e della spiritualità. La risposta è nell'uscita dalla liturgia, nella riconquista di una religione umana, fatta di gesti solidali, di quotidianità, e non di riti. Messaggio altissimo, che in Vaticano piacerà poco." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 7 ottobre 2011)

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