SCHEDA FILM

Il frullo del passero

Anno: 1988 Durata: 99 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:PANORAMICA

Tratto da:"Il polverone" di Tonino Guerra

Produzione:AMEDEO PAGANI PER BASIC CINEMATOGRAFICA (ROMA), RETEITALIA (MILANO), CANDICE PRODUCTION, INITIAL GROUP, INITIAL GROUPE, TF 1 FILMS PRODUCTIONS

Distribuzione:MEDUSA DISTRIBUZIONE - PENTAVIDEO, MEDUSA VIDEO (PEPITE)

TRAMA

Morto improvvisamente il suo amante, la bella e giovane Silvana sta per lasciare il piccolo centro della Romagna in cui ha vissuto, mantenuta da lui, quando Gabriele, un facoltoso e attempato vedovo, amico del morto, le propone una situazione vantaggiosa: si prenderà cura di lei, le offrirà una ricca casa e tutto ciò che potrà desiderare, chiedendole in cambio soltanto di ascoltare con attenzione il racconto delle avventure amorose della sua vita. Silvana accetta e Gabriele comincia la sua opera di seduzione: egli incanta la donna, che non ha ancora mai amato, narrando con la sua bella voce, e certamente abbellendoli con la fantasia, amori lontani o abbastanza recenti, le cui vicende lascia però sempre in sospeso, in modo da mantenere morbosamente vivo l'interesse dell'ascoltatrice. Alcune di queste storie si riferiscono al tempo in cui Gabriele era giovane e il loro ricordo si mescola a momenti della vita di Silvana, che, anche perché eccitata dal narratore, ha iniziato un'ardente relazione con un aitante giovanotto incontrato per caso nella città vicina. Ma al momento di decidere se andarsene per sempre con lui, Silvana capisce di amare per la prima volta, ma di amare Gabriele, che fino a quel momento non l'ha neppure baciata, ma ha saputo conquistarla completamente col solo fascino delle sue parole. E perciò resta con lui, decisa a divenire la sua amante, proprio come Gabriele desiderava.

CRITICA

"Film insolito, troppo lambiccato perché lo si possa dire pienamente riuscito ma non lontano dal centrare il bersaglio d'un cinema fantasioso e intrigante. Viene da un breve racconto di Tonino Guerra (da 'Il Polverone'), che lui stesso ha sceneggiato insieme con il regista Gianfranco Mingozzi e Roberto Roversi, e vede di fronte, per cominciare, un uomo e una donna. (...) Per Philippe Noiret il film è comunque un'altra vittoria, così ricco di modulazioni è lo spasimo e il rapimento vissuto da Gabriele imprigionando la sua ultima donna con le parole. E Nicola Farron, qui in ruoli diversi, ripaga con il garbo e la freschezza la fiducia che ha riposto in lui il sempre alacre regista Gianfranco Mingozzi chiamandolo a recitare nei suoi tre ultimi film. Musica di Lucio Dalla, non del tutto appropriata, e buona fotografia di Luigi Verga." (Giovanni Grazzini, 'Il Corriere della Sera', 23 dicembre 1988) "Il tempo si dilata, restituisce al presente ogni possibile passato, l'uomo e il giovane amante si identificano, i flashback rompono gli equilibri temporali. Troppo spesso il racconto sfugge di mano a Mingozzi. Alcune notazioni appesantiscono una materia di per sé leggera. Gli attori smarriscono le tracce del loro pellegrinare interiore: Noiret se la cava con l'usuale classe e Ornella Muti, sempre più eterea e incorporea, vive pericolosi momenti di assenza totale. La musica di Lucio Dalla entra in sintonia con il film solo quando si limita a sonorizzare le immagini. L'afflato poetico desiderato, per questa volta, si arrende di fronte ad un realismo duro a morire e, probabilmente, ad eccessi troppo frenati e controllati." (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 23 dicembre 1988) "Equilibri difficili e giochi delicati di apparenze tenute volutamente ai margini dell'indefinito. Il film li affronta con coraggio ma, se nella prima parte convince, perché riesce a rileggerne tutti gli spunti realistici (in una dimessa cornice provinciale emiliana) con modi finissimi di rappresentazione, tempi abilmente trattenuti, risvolti narrativi seguiti con garbo, caratteri disegnati con accenti sottili, nella seconda, quando si fa avanti la visionarietà, perde di vista quasi tutti gli effetti cui il testo letterario aspirava, confonde l'ambiguità con il trompe-l'oeil e privilegia inutilmente l'oscuro. L'impresa indubbiamente era ardua; forse però per approdare a risultati compiuti si poteva privilegiare meglio e di più la poetica dell'ambivalenza. La si cerca, ovviamente, ma si stenta a raggiungerla. Nonostante la sceneggiatura di Guerra. Philippe Noiret e Ornella Muti protagonisti: entrambi, pur tra le pieghe del reale, sapientemente enigmatici." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 23 dicembre 1988)

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