Hunger2008

SCHEDA FILM

Hunger

Anno: 2008 Durata: 96 Origine: GRAN BRETAGNA Colore: C

Genere:DRAMMATICO, STORICO

Regia:Steve McQueen (II)

Specifiche tecniche:ARRICAM LT/ARRICAM ST/ARRIFLEX 235, 2K/SUPER 35 (2-PERF) STAMPATO A 35 MM (1:2.35)

Tratto da:-

Produzione:BLAST! FILMS, CHANNEL FOUR FILMS, FILM4

Distribuzione:BIM (2012) - DVD: BIM/01 DISTRIBUTION HOME VIDEO (2012); FELTRINELLI/BIM (2013)

ATTORI

Michael Fassbender nel ruolo di Bobby Sands
Liam Cunningham nel ruolo di Padre Dominic Moran
Lalor Roddy nel ruolo di William
Stuart Graham nel ruolo di Raymond Lohan
Brian Milligan nel ruolo di Davey Gillen
Liam McMahon nel ruolo di Gerry Campbell
Laine Megaw nel ruolo di Sig.ra Lohan
Helena Bereen nel ruolo di Madre di Ray
Karen Hassan nel ruolo di Ragazza di Gerry
Frank McCusker nel ruolo di Direttore del carcere
Helen Madden nel ruolo di Sig.ra Sands
Des McAleer nel ruolo di Sig. Sands
Geoff Gatt nel ruolo di Uomo con la barba
Rory Mullen nel ruolo di Sacerdote
Ben Peel nel ruolo di Stephen Graves, agente penitenziario antisommossa
Paddy Jenkins nel ruolo di Sicario
Billy Clarke nel ruolo di Ufficiale sanitario
Ciaran Flynn nel ruolo di Bobby a 12 anni
B.J. Hogg nel ruolo di Inserviente lealista
 
 

MONTAGGIO

Walker, Joe
 

SCENOGRAFIA

McCullagh, Tom
 

COSTUMISTA

Nieradzik, Anushia
 

EFFETTI

Smoke, Bob

TRAMA

1981, Irlanda del Nord. Raymond Lohan è un agente penitenziario nel carcere di Long Kesh, soprannominato The Maze (il labirinto). Lavorare tra le mura di uno dei famigerati H-Blocks, il braccio dove i detenuti repubblicani stanno effettuando la "protesta delle coperte" (Blanket Protest) e la "protesta dello sporco" (No-Wash o Dirty Protest), è come stare all'inferno, sia per i prigionieri, sia per le guardie. Il giovane detenuto Davey Gillen viene introdotto in questo ambiente per la prima volta, è terrorizzato, ma rifiuta categoricamente di indossare l'uniforme carceraria perché non si sente un criminale comune. Si unisce così alla protesta delle coperte e divide una cella sudicia con un altro detenuto repubblicano dissidente, Gerry Campbell, il quale gli insegna a fare entrare di nascosto tutta una serie di oggetti e a scambiare comunicazioni con il mondo esterno, per passarle poi a Bobby Sands, leader del loro raggio, durante la messa domenicale. La direzione del carcere cerca di convincere i detenuti ad accettare l'offerta di abiti civili, una potenziale svolta nella loro lotta per riacquistare lo status speciale di prigionieri politici, ma scoppia una sommossa e i prigionieri distruggono le celle pulite in cui sono stati trasferiti. La rivolta viene sedata nella violenza, con percosse e perquisizioni corporali. In più oltre le mura del carcere nessun agente penitenziario è al sicuro e Raymond viene ucciso. Bobby Sands incontra Padre Dominic Moran e gli rivela che intende guidare un nuovo sciopero della fame in segno di protesta per l'abolizione dello stato giuridico speciale riservato ai detenuti repubblicani. Il prete cerca di fargli cambiare idea, ma Bobby non sente ragioni e dà comunque il via allo sciopero. Qualche tempo dopo, viene trasferito nel reparto ospedaliero del carcere a causa delle sue pessime condizioni di salute...

CRITICA

"Steve McQueen invece usa la forza visiva dell'inquadratura fissa per costringere lo spettatore a guardare quello da cui forse vorrebbe distogliere la vista: la condizione inumana degli irlandesi detenuti a Maze, la violenza dei carcerierI inglesi, i pestaggi, le vendette (anche dei militanti dell'Ira) e la lenta agonia di Bobby Sands. 'Hunger' non ha particolari rivelazioni da fare ma piuttosto la voglia di obbligare a guardare. E a ricordare. (...) Il fatto interessante è che entrambi questi film sono lontanissimi dalla tradizionale ricostruzione storica: quello israeliano perché trasferisce tutta la storia a disegni animati, pur conservando le fisionomie reali dei personaggi intervistati, quello inglese perché utilizza le tecniche e i linguaggi dell'arte contemporanea, trasformando le inquadrature in una specie di surrogati di quadri. Come se i due registi ci volessero dire che gli strumenti tradizionali del cinema e della finzione non sono più sufficienti per raccontare i drammi della Storia: siamo troppo assuefatti al bombardamento di immagini che ci arrivano da tutte le televisioni e per catturare la nostra attenzione ci vuole qualche cosa di fuori dal comune." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 16 maggio 2008) "McQueen compone le sue immagini con visualità forte, perfetta, mai estetizzante. La violenza del carcere e della polizia è messa in scena in modo astratto, per la sua sostanza che vale in quella situazione e in qualsiasi altro esercizio di sopraffazione. (...) McQueen usa la sua esperienza di artista in modo sottile e discreto, ce lo rivela nel modo di disegnare gli spazi o nell'impasto delle gamme cromatiche. Non siamo davanti al santino anche quando nel finale Sands somiglia a Cristo o ai morti di aids nelle prime fotografie dello stesso periodo. La sintesi però è la stessa violenza, la violenza del potere e della repressione esercitate in democrazia. (...) La scommessa di McQueen è questa, parlare della Storia al presente, senza giudizi scritti a posteriori." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 16 maggio 2008) "McQueen all'esordio ha affrontato una montagna, e l'ha scalata con pazienza e senza scorciatoie. Con un'ottica triplice (il carceriere, due prigionieri, l'eroe suicida) ci pone di fronte all'orrore di una guerra civile in cui lo Stato è nemico feroce e sleale. Siamo a Maze, la prigione dedicata all'Ira, e chi ha la divisa non ha alcuna pietà di ragazzi che hanno il solo torto di aver creduto (troppo?) a un mondo migliore. Perquisizioni rettali, pestaggi, umiliazioni non li fiaccano, si ribellano, conservando anche una perfida ironia. Se ogni tanto si cade nell'affettuosa agiografia, è anche vero che il film non (ci) risparmia nulla. Nella seconda parte rallenta come il metabolismo di Sands e ci impone la sua dolorosa e macabra agonia così come un dialogo di una ventina di minuti a camera fissa in cui Bobby (Michael Fassbender, bravo e coraggioso nel mettere alla prova il suo fisico in modo così estremo) spiega al suo prete di strada (e a noi) i motivi del gesto politico che sta per compiere. McQueen si discosta dallo stile di 'Nel nome del padre', 'Michael Collins', 'Il silenzio dell'allodola'. Non cede alla tentazione di regalarci un santino, sapendo mostrare la meschinità umana, da qualsiasi parte arrivi." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 16 maggio 2008) "Non c'è pietà per gli irlandesi detenuti a Long Kesh, alias Il Labirinto, nel 1981: le torture dei carcerieri inglesi, le vendette incrociate dell'IRA, l'inumanità eletta a regola di (non) vita. Bobby Sands si consuma, ma la sua fame non saziata diviene brama visuale e cifra stilistica in 'Hunger', l'opera prima di Steve McQueen del 2008 finalmente nelle nostre sale con Bim. A Cannes fu Camera d'Or, e come altrimenti? (...) McQueen avrebbe poi girato il controverso 'Shame', ma quest'esordio - i parallelismi poetico-formali non mancano - è decisamente superiore, come attestano pure le prove uguali e contrarie dello stesso, straordinario protagonista, Michael Fassbender: qui lavora di letterale sottrazione fino a un dimagrimento scioccante, come non capitava dal Christian Bale di 'The Machinist', viceversa, in 'Shame' il suo calvario è centrifugo, esibizionista (...) e per accumulo. Una volta tanto, meglio la fame dell'abbondanza. Imperdibile." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 26 aprile 2012) "Non è la nostra storia, non apre ferite nostre, così per noi 'Hunger' è solo un film durissimo, fatto di silenzio e immagini belle come opere d'arte, appassionante e commovente, che racconta la storia vera di Bobby Sands nell'Irlanda del Nord straziata per decenni da scontri sanguinosi tra cattolici e protestanti, tra lealisti e repubblicani, tra l'esercito britannico e gli appartenenti alla rivoluzionaria IRA. (...) se oggi arriva in Italia 'Hunger', premio opera prima (Camera d'Or) al Festival di Cannes del 2008, allora temuto come la peste dai nostri distributori per la sua difficile bellezza, lo si deve a 'Shame', premio al miglior attore (Fassbender) all'ultima Mostra di Venezia. Ben accolto da noi, soprattutto dalle signore, gli uomini più spaventati, ha convinto la Bim all'eroica impresa. (...) Chi ha visto 'Diaz' non ha visto niente di dove possa arrivare la violenza, in questo caso dei secondini e dei poliziotti in assetto antisommossa, nei corridoi del carcere: sono scene quasi insopportabili, coi rumori delle ossa rotte, dei corpi sbattuti contro le pareti, delle bastonate rabbiose. Per un terzo del film non ci sono quasi parole ma solo questo pazzo frastuono, poi c'è un lungo, composto, calmo dialogo tra Bobby e il prete cattolico che cerca di convincerlo a non sacrificare inutilmente la sua vita. L'ultimo terzo, dove i gesti degli infermieri carcerari si fanno umani, quasi devoti, come in una Deposizione sacra. Segue la lenta, orribile corruzione del corpo che giorno dopo giorno si spegne tra spaventose sofferenze." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 27 aprile 2012) "Ventidue minuti su 96 contengono un lungo e fitto dialogo in carcere, per lo più in campo lungo, tra il patriota irlandese Bobby Sands e un prete cattolico sull'utilità o futilità dello sciopero della fame, dell'ischeletrimento del corpo, un gesto auto-Auschwitz, in qualche modo profetizzato dai ragazzi punk, come unica arma di combattimento possibile in una situazione disperata e disumana come la detenzione, a corpo nudo e tra escrementi sevizie e torture, nel lager della «Maze prison», in Irlanda del nord. (...) Esce solo adesso in Italia questo suo primo lungometraggio, basato su una incandescenza «sostanza conoscitiva», che vinse a Cannes la Camera d'or nel 2008 e impose all'attenzione mondiale Michael Fassbender che nel film interpreta Bobby Sands, il giovane militante dell'Ira trovato in possesso di armi e condannato per questo a una lunghissima e immotivata pena detentiva e che nel 1981 mori in carcere disseccato (Fassbender, che si applicò con un estremismo degno di De Niro alla perdita progressiva di peso, ha affermato che Bobby Sands doveva possedere una determinazione 'disumana' quanto a pratica dell'obiettivo perché già la sua esperienza recitativa è stata terribile da sopportare). McQueen ha sempre affermato che la foto di quel giovane vista nel tg della Bbc, arrivato a 66 giorni di sciopero della fame, gli sconvolsero, da bambino, l'equilibrio etico: il piccolo cittadino democratico scopriva la presenza di «mostri» e ombre sinistre dietro Io sbandieramento dei valori più umanistici. (...) Compresa la breve vita felice del secondino Stuart Graham. E senza neppure esagerare con il gaelico." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 27 aprile 2012) "Opera prima del video artista afro-inglese Steve McQueen, il telentoso autore di 'Shame', 'Hunger' è ambientato nel 1981, nel carcere di Long Kesh, Belfast; (...) I motivi della sua scelta Sands li spiega in un lunghissimo contraddittorio - abilmente costruito sul continuo rilancio di opposte tesi - con un prete che, pur simpatizzante per la causa, non ne condivide in toto i metodi. E' un momento forte, centrale che prepara l'atto finale del film, quello dell'agonia di Bobby, un Michael Fassbender intenso e scarnificato. A partire da qui, dando prova di un estremismo formale pari a quello politico del protagonista, McQueen si concentra sul progressivo, devastante deterioramento del suo corpo; e - mentre la limpida purezza delle immagini eleva la cronaca a un livello di ascesi quasi mistica - lo spettatore si trova a interrogarsi sul suo posto nel mondo, sul «per cosa», «se», «come» e «quando» valga la pena di morire; o, al contrario, di vivere." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 27 aprile 2012) "Lo slogan dovrebbe essere: se vi è piaciuto 'Shame', non perdetevi 'Hunger'. Fuorviante: raramente si sono visti due film più diversi. Personalmente non abbiamo affatto amato 'Shame', visto in concorso a Venezia 2011, mentre riteniamo 'Hunger' un grande film. (...) McQueen vive il cinema come una sfida squisitamente artistica. È un esteta del sordido, racconta la discesa agli inferi di anime e corpi come un'esperienza prima di tutto stilistica. In questo senso 'Hunger' e 'Shame' sono uguali, appartengono alla medesima sensibilità. Naturalmente la differenza è determinata - almeno secondo noi, chi ama entrambi i film non sarà d'accordo - dal contesto narrativo. 'Hunger' racconta con stile rigorosissimo una storia vera e di bruciante contenuto politico. Ed è doppiamente giusto, e bello, che cineasti inglesi come lui e come Ken Loach raccontino senza veli la brutale repressione operata dalla Gran Bretagna in Irlanda: film potenti come 'Hunger', o come 'II vento che accarezza l'erba', sono politicamente ancora più significativi di opere apparentemente più schierate (come quelle dell'irlandese Jim Sheridan, ad esempio) e proprio per questo più prevedibili. (...) Il film mostra l'effetto di questa vita/non vita sui corpi, non sulle menti. Fino al lungo dialogo in cui Sands (Fassbender è eroico per come fa scempio in primis di se stesso e della propria avvenenza) spiega le proprie ragioni, risolto con un'unica inquadratura in campo lungo che sembra la scena di un dramma «epico» di Brecht." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 27 aprile 2012) "A quattro anni dal premio per il miglior film d'esordio al Festival di Cannes, vi attende anche l'imperdibile 'Hunger' di Steve McQueen, regista del più recente 'Shame'. Durissimo, classico nella fattura, ma anticonvenzionale per il suo coraggio di andare a fondo negli abissi dell'animo umano, magnificamente interpretato da Michael Fassbender (...)." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 27 aprile 2012) "'Hunger' come fame, che sottintende strike come sciopero, che sottintende l'atroce fine che fece nell'81 nel carcere di Mate in Irlanda il braveheart dell'Ira Bobby Sands dopo 66 giorni di sofferenza, un calvario quasi cristologico che nell'ultima mezz'ora fa levitare il racconto in alto, molto in alto. (...) McQueen passa dalla macchina fissa nell'inquadrare in campo lungo lividi corridoi del carcere bagnati di urina, alla cella imbrattata di escrementi come un muro pop art, dal rumore dei cancelli sbattuti ai secondini che pestano col manganello (peggio di 'Diaz') al silenzio agghiacciante del rapporto con se stesso quando, vicini alla fine, tutto si riavvolge e la cinepresa chiusa nella stanza sbatte come una farfalla. Non è solo la Storia che ritorna, ci sono il sentimento, il pathos, la pietas, lo sguardo, il pensiero del regista che non tradisce la tragedia originaria ma la completa con un punto di vista di cinema invisibile e muto, come nella bressoniana agonia con le memorie in flash back. Anche se naturalistico al massimo nell'esibizione di nudità livide ed esangui alla Bacon, il film diventa miracolosamente astratto per virtù del tono, ciò che viene aggiunto senza usare mezzi classici dei proclami politici. La scelta visiva diventa morale: e morto Sands verranno riconosciute le cause della protesta. Si dirà che non è morto invano, ma ogni morto ingiusto è invano e l'implacabile, dignitoso silenzio dei genitori aggiunge un particolare tocco affettivo alla patologia di Bobby che sta sulla terra infelice che ha bisogno di eroi." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 28 aprile 2012) "Fame, come lo sciopero che nell'81 nel carcere irlandese di Maze spense dopo 66 giorni la vita dell'attivista dell'Ira Bobby Sands. Il film di Steve McQueen arriva in ritardo ma non invecchiato a far la cronologia di un'agonia in galera, mentre la Thatcher nega lo status di prigioniero politico. Squarci di grande cinema, silenzi molto interiori, un finale cristologico e il punto di vista dell'autore che spinge la pietas al di là dei proclami politici. Michael Fassbender, pelle e ossa, mostra ben altra 'Shame': ed è straordinario." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 4 maggio 2012)

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