Foxcatcher - Una storia americana2014

SCHEDA FILM

Foxcatcher - Una storia americana

Anno: 2014 Durata: 134 Origine: USA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Bennett Miller

Specifiche tecniche:PANAVISION PANAFLEX MILLENNIUM XL2, 35 MM, D-CINEMA

Tratto da:-

Produzione:MEGAN ELLISON, BENNETT MILLER, JON KILIK, ANTHONY BREGMAN PER ANNAPURNA PICTURES, LIKELY STORY, MEDIA RIGHTS CAPITAL

Distribuzione:BIM (2015)

ATTORI

Steve Carell nel ruolo di John du Pont
Channing Tatum nel ruolo di Mark Schultz
Mark Ruffalo nel ruolo di David Schultz
Vanessa Redgrave nel ruolo di Jean du Pont
Sienna Miller nel ruolo di Nancy Schultz
Anthony Michael Hall nel ruolo di Jack
Guy Boyd nel ruolo di Henry Beck
Tara Subkoff
Brett Rice nel ruolo di Fred Cole
Dave "Doc" Bennett nel ruolo di Regista di documentari
Corey Jantzen nel ruolo di CJ
Daniel Hilt nel ruolo di Robert Garcia
Samara Lee nel ruolo di Danielle Schultz
Jesse Jantzen nel ruolo di Jesse
Jane Mowder nel ruolo di Rosie
Francis J. Murphy III nel ruolo di Wayne Kendall
Ben Fallon nel ruolo di Glenn Glass
Anthony Novosel nel ruolo di Se stesso
John DeLouis nel ruolo di Se stesso
Zach Kriger nel ruolo di Se stesso
 
 

SCENOGRAFIA

Gonchor, Jess
 

TRAMA

Basato su fatti realmente accaduti, è la oscura e affascinante storia della singolare amicizia - segnata da un drammatico epilogo - tra un eccentrico milionario e due campioni di lotta libera. Mark Schultz, vincitore della medaglia d'oro alle Olimpiadi, viene invitato dal ricco ereditiere John du Pont che ha organizzato nella sua tenuta una palestra per formare la squadra di lottatori che dovranno concorrere alle Olimpiadi di Seul del 1988: la 'Team Foxcatcher'. Schultz accetta volentieri, cogliendo anche l'occasione per affrancarsi dalla figura di suo fratello Dave, anche lui campione di lotta libera, che si è sempre occupato di lui e dei suoi allenamenti. Per du Pont, invece, riuscire a mettere in piedi una squadra di livello mondiale è un modo per ottenere finalmente il rispetto che pensa di meritare agli occhi del mondo e, soprattutto, di sua madre. Lusingato per l'attenzione e affascinato dalla mondo dorato del milionario, Mark diventa sempre più dipendente dal suo mentore fino a quando, però, Du Pont compirà un gesto estremo che porterà alla morte di Dave.

CRITICA

"Bennett Miller, che ha scritto la sceneggiatura con Dan Futterman ed E. Max Frye (...), riduce i dialoghi al minimo e lascia il compito di trasmettere il peso incombente che grava su tutti a una macchina da presa che si «ferma» sulle cose (...) e che riesce a dare una forma mentale a quegli invisibili confini che finiscono per stringere sempre più i tre protagonisti, lungo un cammino che si avvia verso l'«inevitabile» tragedia. Ma sempre con un gusto del non-detto e del sospeso che trasforma un film «sportivo» in un dramma psicologico, dove le zone d'ombra (impossibile non pensare a 'Quarto potere' nel percorso solipsistico di du Pont) e i sottintesi omo-erotici (lasciati giustamente molto sullo sfondo) contribuiscono a costruire la psicologia dei personaggi. Un lavoro che si regge su una recitazione di altissimo livello, per altro qualità costante dei film di Miller (...). E se Ruffalo e Carell avevano già dimostrato il loro valore, la vera sorpresa è Channing Tatum, liberato finalmente dai ruoli di toy boy che l'hanno imposto e capace di mostrare sul corpo - l'andatura a ciondoloni, la testa un po' incassata tra le spalle, lo sguardo appannato - tutto il tormento che lo devasta. E che trasforma questo film in un nuovo, indimenticabile colpo basso al mito americano e ai suoi sogni di successo e di vittoria." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 9 marzo 2015) "(...) con il suo stile controllato e arciclassico, è uno dei più bei film di questi anni e uno dei migliori in assoluto mai fatti sullo sport, anche se incasellarlo in questa categoria è a dir poco riduttivo. (...) 'Foxcatcher' iscrive infatti un'inquietante metafora politica e l'analisi di un torbido rapporto psicologico reso ancora più forte dal suo passare letteralmente attraverso il corpo dei protagonisti, campioni anche nel senso in cui si dice di una roccia che è il 'campione' di un certo minerale (...) Miller (...) sfrutta a meraviglia l'immensa mole di materiali che quel celebre caso di cronaca, oggi dimenticato, gli ha messo a disposizione. Ricostruendo ambienti, comportamenti e perfino movenze con un'aderenza fisica che ne rivela l'essenza profonda. Impressionanti in particolare i tre protagonisti (...)... Era difficile concentrare in tre soli protagonisti tutte le luci e le ombre di un'epoca al tramonto (l'era reaganiana, con le sue fanfare e le sue illusioni). Ma è proprio quanto fa 'Foxcatcher', sfruttando a fondo il contrasto fra questi mondi così lontani. (...) Raramente un film avrà esplorato con più acutezza tutte le pieghe e i doppifondi di una relazione così complessa e malata, portandone a galla i significati più reconditi. Si capisce che Bennett Miller faccia un film ogni tre anni circa. Speriamo che resti fedele al suo metodo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 marzo 2015) "II regista Bennett Miller (...) non è tanto interessato allo sport quanto a raccontare attraverso lo sport il senso dei rapporti umani e di classe, un mondo anche fisico di maschi in cui le donne sono accessori di cui Mark e John possono fare a meno. (...) Tutto il film è come scolorito, il che aumenta il senso di invisibile minaccia che cresce nel mutismo di Mark, nella desolazione di un vuoto ritrovato che aumenta man mano che John si fa meno padre e sempre più gelido padrone. (...) Steve Carell, attore comico molto amato in America (...) trasformato da un finto naso aquilino e da un pallore rabbioso in una maschera sospettosa e nevrotica, è un insuperabile John, paranoico e quasi commovente (...)." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 9 marzo 2015) "«Foxcatcher-Una storia americana» (...) conferma il poco prolifico talento di Bennett Miller giunto appena al terzo film dal 2005 di «Truman Capote - A sangue freddo». Maestro della sottrazione e virtuoso della pausa e del dettaglio, Miller presenta un film difficile da amare di slancio e alterno nel mix di realismo e metafora, ma freddamente potente nel posizionare i singoli individui all'interno dell'intreccio per poi costringerli a trasmettere una gamma di allarmanti sensazioni universali. (...) È evidente che si esplora nelle immagini scolpite e a volte sospese dal montaggio su sfondi astratti, così come nei dialoghi scarnificati, una sorta di relazione a tre dove il pretesto agonistico non conta quasi niente e s'agitano fantasmi di sottomissione e manipolazione subito riportati dai recensori al pigro simbolismo della caduta del mito americano. In realtà le frecciate contro il machismo e il patriottismo costituiscono il versante fragile del film che, al contrario, risulta sorprendente nella profondità degli affondi psicologici e nel linguaggio, per così dire, dei corpi: altro che biopic commemorativo, qui Miller - grazie alle prestazioni superlative di Tatum, Buffalo e soprattutto di un irriconoscibile Carell - fa implodere ed esplodere l'anima e la carne di personaggi psicotici, feriti, devianti e deformi." (Valerio Caprara, 'Il Mattino',12 marzo 2015) "(...) è un gran bel film e un'ulteriore conferma del talento di Bennett Miller, che da 'Capote' e 'L'arte di vincere' non ha mai sbagliato un colpo. Qui, sulla base di una solida sceneggiatura di E. Max Frye e Dan Futterman ispirata a un fatto vero, il regista newyorkese imbastisce sull'arco di una decina di anni, fra il 1987 e il 1996, una dostoevskiana vicenda di cronaca nera calibrando perfettamente struttura narrativa e studio di carattere. (...) Impietosa metafora dell'America del potere e scavo nella natura umana e nei meandri dei legami familiari, 'Foxcatcher' ha l'arte di coinvolgere lo spettatore in una storia terribile di cui in teoria non vorrebbe sapere nulla; così come uno straordinario, irriconoscibile Steve Carrell sa rendere sinistramente carismatico un protagonista distorto. Gli eleganti, levigati interni dello scenografo Jeff Gonchor ben esprimono il fascino, solo in apparenza quieto, della ricchezza; la fotografia plumbea e densa di Greig Fraser si intona allo stratificato disegno di regia, Channing Tatum è un convincente, fragile Mark avvitato in una spirale distruttiva; e Mark Ruffalo (candidato all'Oscar) presta a Dave la sua protettiva dolcezza e calda sensibilità." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 12 marzo 2015) "Sul tappeto Channing Tatum (non è solo manzo, è bravo!) e Mark Ruffalo (solido), a bordo ring il metamorfico Steve Carell nel ruolo della vita, un film competitivo, tosto e, sì, imperdibile, che lesina assai sui dialoghi e fa della macchina da presa un 'ferma oggetti' e 'cristallizza gli attimi', i sintagmi della relazione malata tra il miliardario e il wrestler, la mente e il braccio. Di primo acchito la glacialità geometrica della regia può raffreddare il valore esplicito del film, ma 'Foxcatcher' non ti molla, caro spettatore, finché non vai al tappeto. Da vedere, anche per farci venire un po' d'amarezza: ma da noi un film così magari partendo dal calcio chi lo fa, nessuno?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 12 marzo 2015) "Channing Tatum è Mark Schulz, che ha l'espressività di un gorilla e non è troppo sicuro di sé. Mark Ruffalo è Dave, il maggiore dei due e il più socialmente funzionante. Insieme a quella di Carrell, anche le loro interpretazioni ««da Oscar», incombono con troppa prepotenza in questa paziente, dettagliata, ricostruzione di milieu. Freddo, preciso, come filtrato dalla lente di un microcopio, 'Foxcatcher' è un'esperienza senza respiro e che non lascia respirare chi lo guarda. Purtroppo, l'innegabile talento antropologico di Miller qui sembra usato solo fine a se stesso." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il manifesto', 12 marzo 2015) "Piacerà a tutti quelli che lo vedranno. Speriamo che nel caso di 'Foxcatcher' il passaparola faccia il suo encomiabile lavoro di sempre. Perché sulla carta (diciamo pure sugli spot) il film di Bennett Miller non è tra quelli che attirano a colpo sicuro il pubblico domenicale. Su tre personaggi, solo il buon Dave sollecita la simpatia dello sparatore (du Pont è psicopatico e Mark ha vertebre molto mosce sotto i muscoli d'acciaio). Eppoi il wrestling a tanti sembra la festa dei grossi idioti (tale almeno la considera la terribile signora du Pont). Però gli attori sono favolosi (Steve Carell di solito impiegato in personaggi comici è un allucinante du Pont) (...). Innamorato delle biografie cinematografiche (...) ha il dono molto raro di prendere personaggi scostanti (spesso odiosi come du Pont e gli assassini di Truman Capote) riuscendo egualmente a coinvolgerti colle loro passioni e i loro tormenti. E senza adoperare gli strumenti consueti al melodramma (scene madri, musica rimbombante). La tragedia, quando arriva è gelida e tagliente come quelle di un dramma greco." (Giorgio Carbone, 'Libero', 12 marzo 2015) "La sfortuna di Carrell (farete fatica a riconoscerlo) è stata quella di doversi battere, agli Oscar, contro Eddie Redmayne, perché la sua interpretazione dell'erede du Pont è da statuetta." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 12 marzo 2015) "(...) Tatum sorprendente e Mark Ruffalo una conferma (...), (...) Carrell, un concentrato di morbosa nevrosi del magnate (...). Già apprezzato per 'A sangue freddo' da Capote, qui Miller lavora su importanti elisioni di montaggio per ottenere tensione, a volte formidabile, da ciò che non viene detto, mentre i conflitti crescono. Un trattato d'emozione fredda sul potere accecante delle proiezioni di paternità nell'America che crede(va) nella vittoria come una fede prima di tutto in se stessi e nel successo come una conferma di sanità e legittimazione." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino - Giorno', 13 marzo 2015) "(..) la storia in sé (...)con le sue inverosimiglianze mai chiarite e poi con quella lotta libera dal principio alla fine, non so se con le sue regole, quasi senza regole convincerà le platee italiane. Mark è Channing Tatum che qui recita con i muscoli, John è il tetro e fosco Steve Carell. La regia è di Bennett Miller, di cui si ricorderà «Truman Capote», di gran lunga migliore di questo." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 15 marzo 2015)

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