DERVIS -  IL DERVISCIO2000

SCHEDA FILM

DERVIS - IL DERVISCIO

Anno: 2000 Durata: 132 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:-

Tratto da:TRATTO DAL ROMANZO "IL DERVISCIO E LA MORTE" MESA SELIMOVIC" (EDITO DA BALDINI & CASTOLDI)

Produzione:LUIGI MUSINI E SIDDIK OZPETEK PER CINEMAUNDICI , A.F.S. FILM - ISTANBUL, IPOTESI CINEMA, RAI CINEMA, TELE+, EURIMAGES

Distribuzione:MIKADO

TRAMA

Lo sceicco Ahmed Nerudin vive in un mondo in cui non alberga il dubbio, esistono solo certezze. Quando suo fratello verrà ingiustamente arrestato, poi condannato e giustiziato, sarà costretto a scoprire una realtà molto diversa. Il suo spirito di giustizia lo spingerà a fomentare una sommossa che farà cadere i suoi nemici. Una volta insediato al loro posto scoprirà il vero prezzo della vendetta.

CRITICA

"Rondalli ha lavorato on Olmi e Kieslowski e lo si sente, nel rigore acetico delle immagini, dove prevalgono i primi piani, come nella tensione morale che traversa il racconto. A conti fatti, però, il suo bel film è troppo prodigo di parole (tutto è 'detto', quasi nulla mostrato) e un po' sprovvisto di anima."(Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 12 agosto 2001) "Il derviscio, tratto dal romanzo quasi autobiografico edito da Baldini & Castoldi, è un debutto di gran rigore formale e morale. Una scelta eccentrica, fuori da ogni mediocrità, che fa del regista Alberto Rondalli e del suo protagonista, lo spagnolo Antonio Buil Puejo, due eroi del cinema degli sguardi e del silenzio, bressoniano. Freddo, perfetto, poco emotivo. Quello che stupisce è quanto il regista lecchese, che viene dalla scuola di Olmi, si sia calato in un altro pianeta, firmando una storia universale che in fondo è quella del dubbio dell'essere o non essere, tra azione e pensiero, sfociando nel conflitto tra il Corano e i sentimenti, tra religione e società. Ma il senso del film, dominato dalla bellezza formale e stilistica, in un contesto di realismo pasoliniano, è proprio il dramma della fragilità dell'uomo che si vede crollare il mondo spirituale addosso col protagonista che vive nello stesso tempo nel reale e nella dimensione metafisica, fatta della pasta del cinema." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 9 marzo 2002) "Alberto Rondalli viene dalla scuola di cinema di Ermanno Olmi e ha diretto tre film, tutti con personaggi e temi legati alla sfera del sacro. Percorso singolare, quindi, nel panorama italiano: dall'austero e ambiguo 'Quam mirabilis' (1994), sull'attrazione tra due suore di clausura, al televisivo 'Padre Pio da Pietrelcina' (1997), a questo 'Derviscio' che ci trasporta in una provincia dell'Impero Ottomano. (...) Tratto dal romanzo 'Il derviscio e la morte' dello jugoslavo Mesa Selimovic, il film unisce, con passo faticoso, mistica sufi e meditazioni sulle miserie umane. Purtroppo, 'Il derviscio' non danza né ruota: lunghe scene dialogate lo zavorrano a terra. E il rigore cinematografico resta sterile." (Bruno Fornara, 'Film Tv', 12 marzo 2002) "Nel brullo panorama del cinema italiano 'Il derviscio' rappresenta un'anomalia che il rigore della rappresentazione e l'ammaliante racconto, ancorché spettacolarmente rinunciatario, trasformano in un'utile riflessione su quello che potrebbe essere il cinema colto. (...) L'attento Alberto Rondalli dirige la complessa materia con consapevole rigore. La luce del giorno e della notte sono presenti in alternanza non casuale, rappresentando l'una la conoscenza illuminata da Dio, l'altra l'opposizione catartica alla conoscenza. La fotografia di Claudio Collepiccolo è in tal senso esemplare. L'attore spagnolo Antonio Buil Puejo, nella sua allucinata fissità conferisce alla figura del derviscio il giusto carattere ieratico. Tratto da un romanzo di Mesa Selimovic, 'Il derviscio' ricorda il cinema di Bresson, per l'essenzialità delle sue componenti. Un'occasione per chi voglia fuggire dai film bombaroli o stupidi dai quali siamo accerchiat.i" (Adriano De Carlo, 'Il Giornale', 6 marzo 2002) "Una storia di vendetta, di ribellione all'ingiustizia, di fraternità, che consente di distinguere due aspetti di quella cultura: il pragmatismo rassegnato al Male e il misticismo irriducibile nell'esigere il Bene, l´indulgenza fatalista e la implacabilità fanatica, la moderazione e l´estremismo. Dilemmi certo non estranei a tutte le comunità umane, e che hanno permesso al regista quarantenne nato a Lecco di evitare le banalità del cinema medio. Non si tratta soltanto dell'esotismo del paesaggio, dello stile realistico di costumi, scenografie, sistema di gesti e d´espressioni, della musica opera di compositori dervisci: la profonda originalità sta nel fatto che si tratta di una conversione alla rovescia, d´un percorso dal bene al male, nato dalla negazione della giustizia e senza resurrezione. L´incanto severo e sug

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