Come Dio comanda2008

SCHEDA FILM

Come Dio comanda

Anno: 2008 Durata: 103 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Gabriele Salvatores

Specifiche tecniche:35MM

Tratto da:romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti (Premio Strega 2007, ed. Mondadori)

Produzione:MAURIZIO TOTTI PER COLORADO FILM, RAI CINEMA CON FRIULI VENEZIA GIULIA FILM COMMISSION

Distribuzione:01 DISTRIBUTION, DVD E BLU-RAY: 01 DISTRIBUTION HOME VIDEO (2009)

ATTORI

Alvaro Caleca nel ruolo di Cristiano Zena
Filippo Timi nel ruolo di Rino Zena, il padre di Cristiano
Elio Germano nel ruolo di Quattro formaggi
Fabio De Luigi nel ruolo di Beppe Trecca, assistente sociale
Angelica Leo nel ruolo di Fabiana
Alessandro Mizzi nel ruolo di Uomo del SUV
Corinna Agustoni nel ruolo di Maria Pirro
Alessandro Bressanello nel ruolo di Marchetta
Ludovica Di Rocco nel ruolo di Esmeralda
Valentina Sussi nel ruolo di Ragazza del centro sociale
Andrea De Nori nel ruolo di Alex
 
 

MUSICHE

Mokadelic
 

MONTAGGIO

Fiocchi, Massimo
 

SCENOGRAFIA

Rabassini, Rita

TRAMA

Rino e Cristiano Zena, padre e figlio, vivono in una desolata provincia del nord Italia. Rino è disoccupato e mantiene sé stesso e suo figlio come può. Il ragazzo frequenta le scuole medie ed è molto legato al padre che lo sta educando secondo violenti principi razzisti, maschilisti e nazionalsocialisti, ma che lo ama più della sua stessa vita. Il loro unico amico si chiama 'Quattro formaggi', un disadattato che gira per le discariche a raccogliere materiali di recupero per finire un suo strano presepio. 'Quattro formaggi' si mette in guai seri per aver violentato e ucciso Fabiana, una compagna di scuola di Cristiano, e cerca aiuto da Rino che però non accetta di coprire il suo crimine. Durante la violenta discussione che i due hanno sul luogo del delitto, Rino viene colpito da un ictus ed è ricoverato in ospedale, in stato di coma, mentre 'Quattro formaggi' fugge via. Cristiano è convinto che sia stato suo padre ad uccidere Fabiana ma, secondo i principi da lui appresi, decide di proteggerlo occultando il corpo della ragazza.

CRITICA

"L'impressione d'insieme è che 'Io non ho paura' fosse più compatto e compiuto, più felice. Detto con tutta la consapevolezza e l'apprezzamento per un film di fattura elaborata e di soluzioni visive (fotografia di Italo Petriccione) ricavate da situazioni difficili e contrarie: notte, pioggia. Salvatores ha assecondato l'ispiratore e collaboratore (Ammaniti firma anche il copione) aggiungendo la propria sensibilità a un incontro ravvicinato con le forme più estreme e pericolose, nocive per altro e autolesioniste, che può assumere un sentimento autentico. (...) A lasciare qualche dubbio è l'inevitabile curiosità verso i segreti di bottega: l'immaginare una composizione del cast entusiasmante ma anche sofferente. Potevano essere gli eccellenti, perfino perfezionisti Timi e Germano, ma potevano essere anche altri. Che avrebbero condotto i loro personaggi altrove, chissà con quale esito. Ottimo Fabio De Luigi nel suo ruolo laterale di assistente sociale." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 12 dicembre 2008) "Al di là dell'indubitabile abilità tecnica che permette a Salvatores (e al direttore della fotografia Italo Petriccione e al montatore Massimo Fiocchi) di costruire una scena lunga quasi mezz'ora tra il buio delle notte e il fango di un temporale senza che lo spettatore ne provi stanchezza, tutto sembra troppo significativo (e un po' prevedibile) per emozionare davvero. Proprio come la parentesi 'erotica' o quella 'sociologica', troppo programmaticamente cariche di significato perché lo spettatore in qualche modo non se le aspetti e non le metabolizzi velocemente. E questo nonostante l'impegno di tutto il cast, convincente soprattutto quando non sottolinea eccessivamente la solitudine e il dolore che affligge ogni personaggio. Così la scelta di adeguare completamente stile e narrazione a un codice realistico finisce per schiacciare tutto - la storia di un delitto di provincia, il ritratto di tre personaggi senza speranza, il quadro di una società egoistica e violenta - sotto una cappa di disperazione e di sociologia dove tutto sembra preda di un male metafisico e indistinguibile, troppo apocalittico quando accenna a un mondo ostile e vendicativo o superficialmente assolutorio quando invece si chiude solo sul rapporto tra padre e figlio." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 12 dicembre 2008) "Perché gli uomini diventano cattivi? Il secondo film di Salvatores tratto da un libro di Niccolò Ammaniti sembra voler rispondere a questa domandina insieme immensa e infantile. Cosa è che rende gli uomini malvagi? Non è una domanda innocente. Implica che il male sia un processo, un'affezione, magari latente, qualcosa che non necessariamente nasce con noi ma può impadronirsi del nostro essere. E i protagonisti di 'Come Dio comanda', un padre, un figlio, un matto, sono proprio così. Malvagi e innocenti insieme. Meglio: indotti al male da una serie di circostanze che si chiamano disoccupazione, ignoranza, povertà, isolamento, paura. Tutte cose oggi familiari, e non solo nel Nordest. Il problema è che questa premessa, anziché restare "invisibile", salta agli occhi e stende su tutto, personaggi, paesaggi, eventi, una sottile patina che rende il Nordest di Salvatores astratto e scivoloso malgrado gli ottimi attori e la bella intuizione iniziale". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 12 dicembre 2008) "All'origine del nuovo film che Gabriele Salvatores ha diretto dopo quattro anni di silenzio c'è il romanzo 'Come Dio comanda' di Niccolò Ammaniti, asciugato, privato altri personaggi, condensato sull'essenziale rapporto padre-figlio e sulla rozza brutalità di certa gente del Nord. Filippo Timi è bravissimo nel personaggio del padre, i1 debuttante Alvaro Caleca impersona bene i1 figlio; Elio Germano, i1 matto, è poco sorvegliato, ogni tanto lezioso. Il film duro dà a volte un'impressione di maniera nel ritratto dei personaggi maneschi e parafascisti: ma è costruito e realizzato benissimo, con una forza grande, appassionante". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 12 dicembre 2008) "Volessimo approcciarci al film 'come dio comanda', cioè come vuole la vulgata ufficiale, dovremmo raccontare la storia. Dire che si parla di un rapporto tra padre e figlio senza mamme e grembi materni in senso stretto, deformato dalla presenza di un terzo incomodo, un emarginato strambo, e da una sovrastruttura socio-culturale (ovviamente dagli autori non condivisa) fatta di un ancestrale razzismo e luoghi comuni sugli stranieri. In mezzo al bailamme di suggerimenti d'attualità, cronaca, quotidianità massmediatica salta fuori pure l'omicidio violento, per certi versi inevitabile. Salvatores prende questa materia pulsante e la trasfigura in un set come il Friuli, che deve però risultare luogo astratto e metaforico. Ci sono le lande desolate, le cave di pietra polverose, l'isolamento abitativo e fisico dei protagonisti. Poi il pathos monta o almeno si tenta questo sentiero. (...) Salvatores è regista della levata nobile anni '80 in cui l'intimismo trovava fragile e piacevole sbocco per testa e occhi su fughe e paturnie individuali. Oggi il rifugio di quegli assunti è il dolly, il plongée, il movimento di macchina da presa arioso, ben fatto, sostanzialmente di plastica. Soluzione che maschera la fatica comunicativa, la distanza interiore dalla materia trattata. Sappiamo che un giorno Salvatores ritornerà a mostrarci qualcosa di sentito, viscerale, finalmente di nuovo suo. E noi saremo lì ad aspettarlo con piacere." (Davide Turrini, 'Liberazione', 12 dicembre 2008) "Se di Timi si sapeva che era bravo; se di Germano si è detto troppo che lo è e lui ha finito col crederlo, la rivelazione del film è l'esordiente quindicenne Alvaro Calca, che rende bene la solitudine della prima adolescenza e la disperazione di aver dubitato del padre." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 12 dicembre 2008) "'Come Dio comanda' è la versione tragica e post-industriale del divertissement intellettuale costruito da Agatha Christie in 'Assassinio sull'Orient-Express': c'è un omicidio e tutti sono colpevoli, non solo colui che l'ha materialmente eseguito. La colpevole è un'Italia che ha perso l'umanità, si è incarognita in un razzismo di ritorno che non dovrebbe esistere in un paese di ex emigranti, e accoglie ideologie d'accatto trasformandole in moralismi ripugnanti. In questa durezza, fa capolino nel finale - ma sarebbe delittuoso raccontarvi come - un barlume di speranza: e si pensa a un grande scrittore friulano, Pier Paolo Pasolini, che aprì il suo primo film 'Accattone' con il verso di Dante 'ttue ne pigli di costui l'eterno/per una lacrimuccia ... '. Sì, forse persino i neo-nazisti hanno un'anima. Filippo Timi ed Elio Germano gestiscono bene due personaggi molto sopra le righe, ma il migliore in campo è il giovanissimo, sorprendente Alvaro Caleca nella parte di Cristiano: perché il ragazzo ha una sua umanità ferita, più complessa di quella degli adulti, e Salvatores - assieme all'attore - la fa emergere in modo straziante." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 12 dicembre 2008)

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