Adieu au langage - Addio al linguaggio2014

SCHEDA FILM

Adieu au langage - Addio al linguaggio

Anno: 2014 Durata: 70 Origine: SVIZZERA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Jean-Luc Godard

Specifiche tecniche:3D

Tratto da:-

Produzione:WILD BUNCH

Distribuzione:BIM

 

SCENEGGIATORE

Godard, Jean-Luc
 

MONTAGGIO

Godard, Jean-Luc

TRAMA

Una donna sposata e un uomo single si incontrano. Si amano e litigano altrettanto appassionatamente. Nel frattempo, un cane randagio vaga per la città; le stagioni passano e un altro film ha inizio...

CRITICA

"E' uno dei tanti luoghi comuni dell'anticritica: i film di Godard sono incomprensibili, e la sua ultima regia (...) ne sarebbe l'ennesima dimostrazione. Potrebbe essere vero se ci si accostasse a un suo film come a un'opera tradizionale, ma sono anni che Godard ha abbandonato questo tipo di linguaggio cinematografico per percorrere altre strade. Così è anche per 'Adieu au langage'. Verso i due terzi del film la donna «protagonista», seduta davanti a un video dove scorre Metropolis di Lang, dice di aver «sempre odiato i personaggi». È Godard che parla per bocca sua e ci vuole dire che questo film non ha una trama (con dei personaggi) ma piuttosto vuole dare forma e immagine ad alcune idee che gli stanno a cuore. E lui che ha sempre usato i suoi film per fare i conti con la Storia, affronta anche qui lo scontro tra Natura e Storia come ha sempre fatto col suo cinema: da una parte come capacità di racconto, dall'altra come capacità di intervento. La dialettica Storia/Natura (all'inizio del film, le persone che agiscono, che fanno versus i panorami che si ammirano, che si fanno osservare) si riflette nelle due «anime» del linguaggio cinematografico, la finzione e il documentario, il montaggio e il piano-sequenza, Sergej Ejzenstejn contro Dziga Vertov. Con gli anni, però, Godard sembra aver perso fiducia nella Storia, nella sua capacità di «guidare» la Natura. Come spiega con il paradosso del 1938, quando Hitler andò al potere e nacque la televisione: perché è vero che la Storia ha sconfitto il nazismo ma poi Godard ci dice che le sue idee hanno vinto proprio grazie alla televisione. Ecco perché in questo film la Storia è ridotta a poche scene «prive di senso» (corse, fughe, colpi di pistola) mentre la Natura conquista più spazio, come mostra un cane che scorrazza allegro. Godard ha sempre raccontato storie di coppie, dai tempi di 'Fino all'ultimo respiro', ma ogni volta accentuando un suo percorso di «semplificazione». Anche qui c'è una coppia, ma senza nome e spesso senza vestiti, ultimo stadio di un processo d'astrazione che ha «cancellato» i personaggi a favore della loro essenza. Ecco il perché dei primi piani sul ventre di lei e la sua «foresta» di peli (...) o di lui seduto in bagno: la donna e l'uomo «ridotti» alle loro funzioni vitali. Senza Storia, solo con la loro Natura. Ma siccome Godard è prima di tutto uomo di cinema, ecco che non può dimenticare il nesso tra linguaggio, storia e tecnologia, che trova la sua sintesi nell'uso del 3D, letteralmente la capacità di sovrapporre due immagini per farne una. A volte perfettamente fuse, altre volte impossibili da decriptare (bisogna guardare con un occhio solo, alternando destro e sinistro), perché il processo dialettico capace di «unire gli opposti» - in questo Godard 'è rimasto un marxista - ha ancora molta strada da fare. Tutto è perduto allora? No, perché il film si chiude sul vagito beneaugurante di un neonato, mentre i versi cantati all'inizio e alla fine da Pino Masi (...) sono un inno alla speranza. 'Adieu au langage' non è un addio, è un nuovo inizio." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera, '17 novembre 2014) "Un film che arriva direttamente dal XXII secolo per uno dei grandi maestri del '900, sempre più appartato e chiuso in un cinema personalissimo e di ardua decifrazione, soprattutto per chi abbia poca pratica del suo ultimo periodo, che in Italia si è visto quasi solo nei festival. (...) 'Adieu au langage - Addio al linguaggio' (...) aggiorna la sua cine-filosofia all'epoca del 3D incrociando con grande agilità e un tono tra il solenne e l'autocanzonatorio le ossessioni di sempre, la guerra, l'amore, il tempo che passa, la nostra eterna incapacità di rappresentarli, all'esistenza piena e immediata, ma anche aliena e enigmatica, di un semplicissimo cane (...) Di qui il titolo: 'Addio al linguaggio' e a tutto quello che si porta dietro, i dubbi, le ambiguità, i tormenti del pensiero simbolico e razionale. Naturalmente tutto «come in un film di Godard», per citare una celebre poesia di Pasolini. E dunque via con sovrapposizioni e provocazioni, parole a tutto schermo, azioni che si interrompono e ricominciano inseguite da una frase musicale ossessiva che a sua volta si interrompe sempre sul più bello, mentre due amanti si lasciano e si ritrovano, forse proprio con l'aiuto del cane (...). Anche se la storia come sempre è solo una traccia, un lampo, un segno intorno a cui l'ultimo grande della Nouvelle Vague costruisce castelli di immagini e di idee, meravigliosi e fragili come mandala tibetani, citando Flaubert, Lévinas, Céline, Solgenitsin, Dostoevskij, Fritz Lang e perfino il semidimenticato Jacques Ellul, saggista caro a Aldous Huxley, precursore del pensiero ecologista (...). Anche se nel dizionario in progress di questo paradossale cine-enciclopedista si affaccia forse per la prima volta la dimensione così vicina e così lontana dei nostri amici animali. Un po' approdo a una saggezza finalmente pacificata dopo tante polemiche e battaglie (sarà un caso se quei fiori e foglie in 3D, semplici e luminosi, sono di una bellezza così perentoria?). Un po' sberleffo alle eterne miserie, guerra in testa, della condizione umana. (...) Forse perché nel cinema l'inconscio collettivo esiste davvero. E anche se non esiste Godard ce lo rovescia addosso in questo film che è anche la riflessione di un maestro giunto sull'estremo limite della vita. Oscura e abbagliante, personalissima e struggente. Prendere o lasciare." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 novembre 2014) "Godard è un caso unico. Di artista dal prestigio planetario le cui opere, sia detto con il dovuto rispetto, non vanno oltre un ristretto manipolo di cultori dai tempi gloriosi compresi tra il manifesto della Nouvelle Vague 'Fino all'ultimo respiro' e la stagione iper-ideologica di 'La cinese'. Un canto dell'estremismo italiano anni 70 in apertura e chiusura di film, un elogio di Solgenitsin come esempio di sintesi tra saggio e racconto, una donna e due uomini che blaterano nudi, un inno all'amicizia canina, l'alternarsi di 'natura' e 'metafora'. Dietro l'inutile ingombro degli occhialini 3D. Un succedersi di frammenti enfaticamente ispirati, tra riflessione e poesia, ennesimo 'addio' di un pessimista che però non molla mai. Dire che Godard ha chiuso con il cinema narrativo è un'ovvietà. Non lo è chiedersi, sia pur sottovoce, se sia un genio o un ciarlatano. Allibiti ma ammirati dall'irriducibile ultraottantenne, sospendiamo per una volta la rappresentazione grafica del giudizio." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 20 novembre 2014) "Oltre a essere un indiscusso maestro del cinema, Jean-Luc Godard è un intellettuale di assoluta coerenza che non ha mai tradito se stesso, ma a volte imbocca una strada senza uscita. Lo dimostra quest'ultimo film, 'Adieu au langage', un titolo che compendia la poetica di un autore da sempre impegnato a smontare e rimontare gli elementi base del linguaggio, o del racconto, e ora giunto alla conclusione della sua radicale inutilità. (...) Puro Godard certo, ma un Godard che parla alla mente e non raggiunge i sensi, non raggiunge l'animo. Quand'è così, il linguaggio sembra davvero vano." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 20 novembre 20114) "Tra i film dell'anno, ora che ci si avvicina alla fine, «Adieu au langage» ha da subito preso un posto speciale. Lo abbiamo amato perché è un bel film, perché è Godard, e soprattutto perché ancora una volta da questo irriverente geniale ottantenne uomo di cinema ci arriva un'indicazione preziosa sul senso delle immagini oggi (...) una sorta di nuovo punto di partenza, una «terza dimensione» del contemporaneo in cui si ritrovano le altre visioni che ci hanno colpito nel modo di interrogare il cinema, il suo farsi e la sua materia. Non è un film nostalgico «Adieu au langage», girato in un 3D «strabico» che certo non cerca l'effetto di duplicazione della realtà, eppure Gordard (come l'Olmi di «torneranno i prati») smantella ancora una volta le certezze delle immagini per mostrarcene il senso (i sensi) possibili, scomponendone l'ideologia e la certezze acquisite. Cosa narrare come narrarlo cosa è la realtà cosa la rappresentazione. La «storia» poco importa (magari è la Storia che conta) così come di soggetti importanti, le sceneggiature o gli effetti speciali: un uomo una donna un cane che vagabonda intorno al lago passando dal mondo animale all'umano. Intorno infinite variazioni generi, personaggi, emozioni possibili. Perché è la possibilità di cui parla Godard, lo spazio della parola e dell'immagine geometrico eppure apertissimo, che spiazza lo sguardo abituato ai soli pieni, al senso comune, chiedendogli invece di metterci di suo, di lasciarsi conquistare, sedurre persino, costruire relazioni dentro e fuori, essere nel tempo frammentato e non risolto proprio come il mondo. Parole e immagine che danzano come i corpi ripresi in obliquo, come il 3D che raddoppia l'immagine offrendo all' anima dello spettatore, sempre costretto in un film a entrare con il corpo in un tempo altrui, quello del regista, una diversa libertà. Nella quale si produce il cinema, si reiventa il mondo." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 20 novembre 2014) "Cinefilo o cinofilo? Tridimensionale per fare spettacolo o accecare gli spettatori? Soprattutto, capolavoro o boiata pazzesca? Risponde il sommo Jean-Luc Godard con 'Adieu au langage', accolto all'ultimo festival di Cannes da code bibliche e standing ovation. Che poi gli applausi fossero per sincero apprezzamento o inconfessa incomprensione vai a saperlo. 70 minuti di durata e la musica, apertura e chiusura, che lotta continua e italiana: 'II potere agli operai! No alla scuola del padrone! Sempre uniti vinceremo, viva la rivoluzione!'. Ebbene, JLG (ri)va alla rivoluzione, con gli occhialini 3D e un film (?) che mette insieme Google e Solzhenitsyn, Hitler e 'la predisposizione al totalitarismo della democrazia moderna', le nanotecnologie e il terrorismo, chiedendosi se 'è possibile produrre un concetto d'Africa?'. Assoluto stream of consciousness, da rendere cinéma de papa Michael Snow, Baruchello e Grifi: Adieu o Ah Dieux non si giudica, si ama." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 20 novembre 2014) "Addio al linguaggio, ma nel film si legge anche "a dio il linguaggio". Adieu Godard, che a 84 anni, vincitore di Oscar alla carriera, con un marchio indelebile nella storia del cinema mondiale, rilancia con dolcezza rabbiosa la sua opera (almeno da 'La cinese' a 'Germania nove zero'), con un 3D geniale che getta in sala lettere dell'alfabeto, fiori di pittorica purezza, sangue vivo, pieno di fiducia nel montaggio delle attrazioni di Ejzenstejn e nella facoltà creativa combinatoria dello spettatore. E' irraccontabile, a partire dal fatto che pone la questione del raccontare come l'esperienza che decide chi siamo, cosa vogliamo, da dove veniamo eccetera («è il faccia a faccia che inventa il linguaggio»), e qui già tutto diventa un po' diverso, apparentemente complicato. (...) Opera cubista di un pensatore a mezzo cinema." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino - Giorno', 21 novembre 2014)

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