torneranno i prati2014

SCHEDA FILM

torneranno i prati

Anno: 2014 Durata: 80 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Ermanno Olmi

Specifiche tecniche:PELLICOLA KODAK 35MM, 4K (1:1.85)

Tratto da:-

Produzione:CINEMA UNDICI E IPOTESI CINEMA CON RAI CINEMA

Distribuzione:01 DISTRIBUTION

ATTORI

Claudio Santamaria nel ruolo di Ufficiale territoriale
Alessandro Sperduti nel ruolo di Il tenentino
Francesco Formichetti nel ruolo di Il capitano
Andrea Di Maria nel ruolo di Conducente di mulo
Camillo Grassi nel ruolo di L'attendente
Niccolò Senni nel ruolo di Il dimenticato
Domenico Benetti nel ruolo di Il sergente
Andrea Benetti nel ruolo di Il caporale
Andrea Frigo nel ruolo di La vittima
Franz Stefani nel ruolo di Il salvato
Igor Pistollato nel ruolo di Il volontario
Carlo Stefani nel ruolo di Il soccorritore
Giorgio Vellar nel ruolo di La vedetta
Jacopo Crovella
Roberto Rigoni Stern nel ruolo di La vedetta
Davide Rigoni nel ruolo di Il Cappellano militare Rigoni
Sam Ursida nel ruolo di L'Appuntato dei Carabinieri
Niccolò Tredese nel ruolo di Il delirante
Francesco Nardelli nel ruolo di Il soldato Toni
Brais Vallarin nel ruolo di Il ferito grave
Andrea Forte nel ruolo di Il soldato Topino
Riccardo Rossi (II) nel ruolo di L'amico del soldato Topino
Stefano Rossi (IV) nel ruolo di Il morituro
Marco Rigoni nel ruolo di L'infermiere
Nicola Rigoni nel ruolo di Il carabiniere
Maurizio Frigo nel ruolo di Il ferito nostalgico
Davide Degiampietro nel ruolo di Il soldato alla mitraglia
Filippo Baù nel ruolo di Barelliere
Paolo Baù nel ruolo di Barelliere
Daniele Cunico nel ruolo di Barelliere
William Rossi nel ruolo di Barelliere
Alfonso Brugnaro nel ruolo di Il porta lettere
Anthony Rossi nel ruolo di Il soldato rancio posta
Massimo Vellar nel ruolo di Il soldato rancio posta
 

SOGGETTO

Olmi, Ermanno
 

SCENEGGIATORE

Olmi, Ermanno
 

MUSICHE

Fresu, Paolo
 

MONTAGGIO

Cottignola, Paolo
 

SCENOGRAFIA

Pirrotta, Giuseppe
 

EFFETTI

Rumblefish

TRAMA

Siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani. Nel film il racconto si svolge nel tempo di una sola nottata. Gli accadimenti si susseguono sempre imprevedibili: a volte sono lunghe attese dove la paura ti fa contare, attimo dopo attimo, fino al momento che toccherà anche a te. Tanto che la pace della montagna diventa un luogo dove si muore. Tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto. E poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento.

CRITICA

"Lungi dall'essere consolatorio, il titolo dell'ultimo film di Ermanno Olmi, 'torneranno i prati', ha un senso amaro: allude all'ipocrisia della Storia riguardo le migliaia e migliaia di vittime sepolte sotto la neve durante la Grande Guerra, di cui tutti saranno pronti a dimenticarsi al primo riapparire dell'erba, ovvero in tempo di pace. E insieme a quei corpi sarà rimosso l'orrore assoluto di una guerra ingiusta e inaccettabile come qualsiasi altra guerra: questo il messaggio, forte e radicale, del maestro bergamasco. (...) il film inscena una specie di fantasia onirica, un affresco fra l'astratto e l'espressionista (in certi momenti si pensa alla pittura del tedesco Kiefer Anselm) nutrito dell'humus di una zona che non solo è stata feroce teatro di scontro e abbonda di ossari, steli, croci; ma è anche il luogo di vita e riflessione dell'autore, come si sa asiaghese d'elezione. Racconti paterni a parte, Olmi si è familiarizzato con la guerra girovagando nei boschi intorno a casa, conversando davanti al fuoco con l'amico «Sergente della neve» Mario Rigoni Stern, e ascoltando i paesani a partire dal «recuperante» Tony Lunardi. Non poteva che essere ambientato lassù sulle sue montagne, a un chiarore lunare che trascola ogni cosa in una sorta di metafisico bianco e nero, questo accorato appello «contro»: contro le carneficine e il Potere, in nome degli uomini di buona volontà sotto ogni cielo." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 6 novembre 2014) "La guerra è bella ma scomoda, raccontava un libro dell'alpino Paolo Monelli. Ma la Grande Guerra era bella e scomoda anche in un famoso film di Mario Monicelli (e come faceva a essere brutta quando imperversavano Gassman e Sordi con i loro lazzi?). Diventò (nei film italiani) brutta e scomoda solo in una pellicola (1970) di Francesco Rosi, 'Uomini contro'. Ma il pubblico non la volle accettare. In parte giustamente. Rosi condannava il primo conflitto mondiale, ma sulla base di una cultura libresca (e marxista). I suoi personaggi (dai generali e ai tenenti) eran tutti esponenti delle classi privilegiate che la guerra l'avevano voluta. I soldati anonimi, che erano stati mandati per oltre tre anni al macello con metodi giapponesi, comparivano solo sullo sfondo. Per portarli in primo piano ci voleva a distanza di un secolo l'ottantatreenne Ermanno Olmi. Che ci ha messo, son parole sue, circa settant'anni per capire i discorsi di suo padre, che nel 1917 sull'altipiano di Asiago aveva rischiato di lasciarci le penne. Settant'anni fa (e anche sessanta e cinquanta) la guerra per i ragazzini era ancora quella raccontata nei libri scuola, il capitolo tre della storia del Risorgimento, la liberazione, dall'odiato austriaco di Trento e Trieste. Sventolavano le bandiere a ogni commemorazione. Bandiere che erano certo più su: estive dei discorsi di Olmi senior che magari parlavano di sangue e di morte ma sempre con tanta reticenza (quale babbo che ha combattuto non sente il dovere di essere reticente?). Arrivato a un'età nonnesca (magari bisnonnesca) Olmi ha sentito il dovere di pagare il tributo alle sofferenze di papà e per farlo è uscito da quel ritiro spesso annunciato, puntualmente smentito nell'ultimo lustro. La Grande Guerra vista finalmente dal basso, dai soldati anonimi, sfiniti, sfiduciati, anche ammalati dopo due anni di combattimento. (...) Piacerà non solo ai fedelissimi di Olmi. O ai critici da sempre della favola della «terza guerra risorgimentale» ma anche a chi come noi aveva da tempo preso le distanze dal regista bergamasco. Dopo esser stato dieci lustri fa ammiratore sfegatato dei suoi primi film ('Il tempo s'è fermato', 'Il posto'). Ora a ottanta e passa anni, l'Ermanno sembra aver ritrovato la magia della giovinezza, la sua bravura forse unica nel raccontare i suoi reietti della vita che hanno presto imparato che la vita è solo lotta per la sopravvivenza, che «lassù sulle montagne» (come faceva un vecchio coro degli alpini) c'è un mondo dimenticato. Tante grazie a Olmi senior che col suo ricordo ha ridato al figliolo una freschezza un'ispirazione che sembrava aver dimenticato da decenni." (Giorgio Carbone, 'Libero', 6 novembre 2014) "Struggente (e lento) diario di Ermanno Olmi dal fronte: una qualunque notte in trincea tra squarci di luna e di poesia. (...) In platea, chi già dorme ringrazia." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 6 novembre 2014) "Un film succinto, ottanta minuti appena, ma dotato da Olmi di un'imponente portata umanistica. Soprattutto perché «Torneranno i prati» (...) vuole aggiungersi alla lista dei classici del cinema ambientati nella fanghiglia, il gelo e le solitudini dei campi di battaglia della Prima guerra mondiale: pur senza potere rivaleggiare con i capidopera del livello di «Orizzonti di gloria», «La grande illusione» o «Uomini contro», infatti, l'ottantatreenne e infermo regista racconta sulla falsariga del suo accanito spirito cattolico e antimilitarista la notte di un avamposto di soldati italiani interrato sulla linea del fuoco nel crudo e cruento inverno del '17. Il progetto è stato incentivato dal centenario dell'inizio del 'grande carnaio' e il sopraggiunto interesse per la trasposizione del racconto di Federico De Roberto «La paura», ma Olmi e il discepolo e collaboratore Zaccaro vogliono ovviamente denunciare l'universale follia della guerra e rappresentare sullo schermo le indelebili ferite inferte all'anima e la carne di un popolo dai conseguenti orrori. Sull'ordito della messinscena scandito da episodi di degrado, brutalità e paura, gli esili fili drammaturgici s'intrecciano sul piano della negazione dell'identità, la perversione dell'imposizione gerarchica e un desolato qui-e-ora che lavora per negare speranza e futuro ai combattenti in veste di morituri. Il climax narrativo arriva quasi a bloccarsi, a gemere, a tormentarsi sul leitmotiv intriso di pathos all'evidente scopo di sottolineare quanto più possibile una condizione umana che sembra perpetua, un'attesa spalmata di sordo terrore o lo stupefatto conforto procurato dalle apparizioni furtive degli animali nell'incontaminato scenario della natura; fino a quando il comando ordina d'aprire un nuovo avamposto verso la cima e i poveri fanti devono affrontare il tiro dei cecchini nemici reso implacabile dalla limpida luce lunare. I personaggi, sia pure circonfusi dalla magnifica fotografia denaturata di Fabio Olmi, non riescono, però, a fuoriuscire completamente dagli stereotipi bellici, forse anche a causa dello straniamento procurato dalle battute rivolte direttamente alla cinepresa (...) tanto da non consentire al film di premiare appieno le pure alte e nobili premesse. E' facile, dunque, che come epigrafe ritorni in mente il titolo di un altro storico hit del genere: «All'Ovest niente di nuovo»." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 13 novembre 2014)

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