NEWS a cura di Cinematografo.it
04 settembre 2013
Rumsfeld secondo Morris
"Non penso se la sia cavata", dice il documentarista. Che porta a Venezia70 l'ex segretario alla Difesa Usa con The Unknown Known
"Ho fatto vari film su personaggi che sembrano non consapevoli di sé, senza indizi di quel che sono, e questo è anche il sentimento più importante che ho avuto alla fine di questo film. Ho ascoltato Rumsfled per più di 30 ore, diceva cose contraddittorie, confuse. E spunta il solito quesito: ma che cosa pensa veramente? Sta recitando, ci crede davvero? Il concetto centrale è: chi è Ronald Rumsfeld? E' stato fondamentale nell'amministrazione Bush, è stato al centro di due guerre, Afganistan e Iraq, ma chi è veramente? E perché ha fatto quel che ha fatto? Il mistero si approfondisce ancor più, perché negli ultimi giorni è intervenuto sulla Siria, dicendo che intervenire sarebbe un errore: ma perché ora e non 10 anni fa con Iraq e Afganistan?". Parola del documentarista premio Oscar Errol Morris, che porta in Concorso a Venezia 70 The Unknown Known, ritratto di Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa di George W. Bush e architetto della guerra in Iraq. Da ottobre in sala con I Wonder e Biografilm Collection, il doc, desunto da 33 ore di conversazione, non è una classica intervista, piuttosto, Rumsfeld interpreta e spiega i suoi "snowflakes", ovvero gli appunti e le note racchiusi nell'enorme archivio accumulato in oltre 50 anni di vita politica e imprenditoriale."Ritengo che un doc abbia il compito di catturare la complessità, o la mancanza di profondità, dell'individuo di cui si vuole fare profilo. Questo è molto diverso da Robert McNamara (il politico Usa protagonista di The Fog of War, Oscar 2004), mia moglie, quella intelligente della famiglia, fa un confronto e dice che McNamara è l'Olandese Volante, un uomo che viaggia nel mondo alla ricerca della redenzione, mentre Rumsfeld è il gatto che non c'è di Alice nel Paese delle Meraviglie, quello che scompare e di lui resta solo il sorriso". Prosegue Morris, "se l'obiettivo finale è fare un film in cui il vostro protagonista confessi le sue melefatte e si scusi con voi, me e il mondo, ebbene, in questo caso non succederà, e non credo nemmeno che questo sia l'obiettivo. Non sono un prete cattolico, ma un ragazzo ebreo di Long Island, e spero di non deludere nessuno: non raccolgo confessioni, ma un resoconto, una testimonianza". Ancora, "chi è quest'uomo? L'obiettivo è guardare nella sua testa: forse c'è qualcosa, forse no. Ma il resoconto delle sue memorie è un modo per guardare dentro una testa". Incalzato dalla stampa, Morris si fa lui stesso una domanda: "Sono stato abbastanza duro? Sì, penso di sì. Non volevo contraddirlo all'infinito, piuttosto ho preferito fosse lui a farlo. Con il suo linguaggio mira a manipolare gli altri, ma ha l'effetto di manipolare se stesso: è lui che si perde nel mare delle sue parole alla fine". E Morris si guarda attorno: "C'è l'idea che i doc politici seguano uno schema ben preciso: il giornalista fa domande molto penetranti e l'intervistato schiuma di rabbia per difendersi. Beh, qui avviene una cosa molta diversa ed è intenzionale: il tentativo di catturare, creare il ritratto di una persona. Non penso che Rumsfled se la sia cavata, per così dire". Il regista si è "preparato molto per il film, mi sembrava di essere in attesa di un esame", e conclude: "La politica è sempre uguale, Rumsfeld non è il primo politico a non dire il vero, ma per il suo uso della filosofia, l'ossessione per le parole, il modo in cui manipola se e gli altri l'ho trovato strano. Rimane un mistero: se recita o meno, non lo sappiamo".
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