NEWS a cura di Cinematografo.it

Valerio Mastandrea in La mia classe

02 settembre 2013

Domanda di classe

"A che cosa serve fare cinema?", si chiedono Mastandrea e Gaglianone. Attore e regista alle Giornate degli Autori con gli studenti stranieri protagonisti del film

"A me non bastano più i film con un messaggio, e parlo anche da spettatore. Di fronte a certe cose c'è l'urgenza che le cose cambino e che cambino anche in fretta". Valerio Mastandrea è il "maestro" de La mia classe, diretto da Daniele Gaglianone e in programma oggi alle Giornate degli Autori di Venezia: "Fare questo film è stato come farsi una doccia dopo una lunga corsa massacrante", dice ancora Mastandrea, protagonista insieme ad un'intera classe di studenti stranieri, gran parte di loro quest'oggi al Lido. "Il progetto è nato da un'idea di Claudia Russo e Gino Clemente, che per motivi anche personali hanno pensato di costruire una situazione in cui si raccontava di una classe formata da extracomunitari veri con un insegnante impersonato da un attore: l'unico a cui abbiamo pensato è stato Valerio, dotato di un dono particolare, quello di saper trasmettere dallo schermo una genuina autenticità", racconta Gaglianone, che poi spiega: "A due settimane dall'inizio delle riprese, un aspetto della storia che noi avevamo solamente immaginato – problemi relativi ai documenti per uno degli studenti – si è verificato realmente. A quel punto ho pensato di abbandonare tutto, poi abbiamo deciso di proseguire in un altro modo, e quindi Valerio ha continuato a fare il professore pur ‘rimanendo' Valerio, e noi – la troupe – abbiamo continuato ad essere noi stessi". Sì, perché La mia classe è un film ma non è un film, non è un documentario, né docufiction o backstage: "Eravamo veri e finti allo stesso tempo, continua Gaglianone, e ai ragazzi raccontavo passo passo quello che avremmo fatto. In pratica ci trovavamo dentro a una contraddizione, una capriola iperbolica: non un film di noi che facciamo il cinema ma una metafora di com'è il nostro rapporto con la società, di come ci comportiamo di fronte a situazioni difficili, che possono metterci in crisi".E lo spettatore? "Lo spettatore deve smettere di chiedersi che cosa sta vedendo, perché racchiudere ogni volta una visione in un'etichetta è troppo rassicurante", spiega il regista, che aggiunge: "La riflessione che facciamo sul cinema è un pretesto per fare una riflessione più ampia: noi diventiamo amici di questi ragazzi e quando ci raccontano le loro esperienze di vita non possiamo più rapportarci a loro solamente dal punto di vista lavorativo".Ragazzi che, come detto, sono arrivati a Venezia per accompagnare il film: "E' stata una grande esperienza di vita, ognuno di noi dal punto di vista umano ha trovato quello che stava cercando qui in Italia", dice Shadi. Esperienza, evidentemente, che anche a livello professionale segna un nuovo modo di rapportarsi al proprio lavoro: "Ogni film ti arricchisce tanto, questo però in particolare, soprattutto per le premesse", dice Mastandrea, che conclude: "Si può tornare ai film ‘normali', magari però con un'altra consapevolezza. La domanda che ci poniamo anche dentro a La mia classe ("A cosa serve fare i film?", ndr) c'è ancora, metterla dentro un film è già qualcosa".

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