NEWS a cura di Cinematografo.it

<i>Nessuno mi può giudicare</i>

29 marzo 2011

Nessuno lo vuol giudicare

E se il film sulle escort - che domina il botteghino e piace a tutta la critica - fosse lo specchio della nuova commedia italiana: furba, conservatrice e piccola piccola?

Sarà banale, ma i tempi in cui in Italia si discuteva tanto di quali film fossero di destra e quali di sinistra sembrano finiti. Ci si chiederà: e da quando in Italia c'è mai stato un cinema di destra? Chi lo auspica non dice sempre che il settore è tutto in mano alla sinistra? E non sono quelli con gli "occhiali alla Lenin" i primi ad affermare che la cultura è di sinistra? Che la regina del mercato cinematografico sia da anni Medusa, non importa. L'Italia è un paese in cui i numeri dicono una cosa e le storielle che amiamo raccontarci un'altra. Generalmente sui primi non si discute, alle seconde si crede.A proposito di numeri, il botteghino parla chiaro: Nessuno mi può giudicare è il film più visto dagli italiani nelle ultime due settimane. E non era difficile prevederlo. Gli italiani amano le commedie. Adorano ridere delle proprie deformità, e qui i momenti più esilaranti sono quelli con il razzista di borgata (Papaleo), i terroni scambiati per neri (la Cortellesi che dice: "Devi sentirti orgoglioso di essere africano!", e lo sventurato che risponde: "Veramente io sono di Catanzaro, comunque grazie") e i siparietti in camera da letto. E certamente Paola Cortellesi è un'attrice simpatica, Raoul Bova è bello, coatto e sempre corretto, di Papaleo si è detto, mentre su Valerio Aprea bisognerebbe fare un pezzo a parte, perché una faccia così mestamente catatonica non la si ricorda al cinema dai tempi di Fabio "Fabris" Traversa di Compagni di scuola.Insomma Nessuno mi può giudicare è un film gradevole se preso a pezzi, e tutta la critica italiana - indistintamente - ne ha tessuto le lodi non dimenticando l'elogio decisivo: l'occhio al sociale. Perché oltre a una Roma multietnica e a un'Italia cafona, Massimiliano Bruno (a scanso d'equivoci: ci è sempre garbato come sceneggiatore) inscena una recita dove protagoniste sono due escort e una manciata di "utilizzatori finali", nuovi poveri e crisi. E tanto basta alla sinistra per applaudire alla nuova commedia italiana che fa ridere, come la vecchia, dello squallore di oggi, come se Bruno - sempre a scanso d'equivoci: ci garba assai - fosse il nuovo Germi. Non lo è, così come la sua commedia - ma il discorso andrebbe esteso alle tante altre prodotte negli ultimi dieci anni - non è neppure parente acquisita della "grande".Il problema, dicono bene i tre autori di Boris, è come "viene usata la risata". Aggiungiamo: come vengono trattati certi problemi. Si può ridere a crepapelle di noi, della "società dei magnaccioni", dei politici mascalzoni, del vuoto morale che ci circonda, ci sprofonda. Si deve ridere. Una risata vi seppellirà, no? La grande commedia era capacissima di fare questo. Ma a differenza della nuova non indulgeva, non traccheggiava, non perdonava. Era cinica, cattiva, acida, disperata. Amaramente divertente. E questa? Questa non sarà di destra, ma conservatrice sì. Questa mette in scena un'Italia ritagliata dai giornali e la diluisce nel brodo del facile paternalismo. E allora si rida pure, ma a patto di mantenere il decoro dei nobili sentimenti. Si punta il dito, ma solo per prendere in giro bonariamente, come si faceva a scuola con i più sfigati. E mai condannare, "mai giudicare". Comprendere e "volemose bbene".La Cortellesi sarà anche una escort, ma nulla ha dell'inquietante spregiudicatezza di quelle delle cronache giudiziare, anzi: è una mamma che per ripagare un debito, non finire in galera (lascito del marito, mica colpa sua) e non perdere la custodia del bambino - che quando entra in scena sussurra con voce tenera e stereotipata, accompagnato sempre da una musica da funerale - è costretta a prostituirsi. E l'altra escort, quella che introduce la prima "al mestiere", non è forse figlia del ripudio, di una famiglia che non l'ha voluta? Che differenza c'è, dopotutto, tra questi due ritratti del pietismo e dell'accondiscendenza con quello affibbiato a Ruby - che tanto fece arrabbiare Repubblica & co. - in una celebre puntata di Kalispera? Ma cos'è questo bisogno di giustificazionismo assolutorio? Smaccato persino, quando il razzista si converte per amore di una senegalese e di un figlio omosex. Ipocrita, quando utilizza la pantomima (giusto per riderci su, ovviamente) del politico sniffatore che però non ha colore né contrari, perché tanto sono tutti uguali, sono tutti colpevoli e quindi nessuno lo è in fondo, no? Nessuno mi può giudicare non è solo il titolo di una vecchia canzone italiana, ma il refrain di un paese cialtrone, sempre pronto a dissociarsi da se stesso purché non lo si dipinga moralista. Qualunquismo al contrario, che altro? Sorprende che anche una vecchia bandiera della sinistra, Il Manifesto, si sia lanciato nella difesa a spada tratta dell'ennesima operazione paracu.. camuffata col fard del sociale. Se il medium è il messaggio, questo film è il paese: non in quello che racconta, ma per come lo racconta. Non sosterremo più che è di destra o di sinistra. Chi lo è oggi, dopotutto? Ma permetteteci di dire che, rispetto alla grande commedia, questa è una farsa piccola piccola. Come il borghese di Monicelli. Proprio lui che ci ha lasciato, con tutta la cattiveria.

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