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<i>Boris Il film</i>

28 marzo 2011

Un pesce di nome Italia

Dal piccolo al grande schermo ecco Boris, che ride di un paese che piange. Gli autori: "Un grido di disperazione", ma al passo della commedia che fu

Parafrasando una vecchia battuta di Ennio Flaiano: "La situazione in Italia è grave, ma non seria". Una freddura che rappresenta alla perfezione lo spirito di Boris, l'adattamento della fortunata serie italiana (in onda su Sky per tre stagioni) che passa su grande schermo (dal primo aprile in 300 sale con 01) senza perdere i pezzi. Di bravura, perché il film può contare su un cast affiatato, battute al vetriolo e un'idea apocalittica del paese che non fa sconti a nessuno. E di coraggio, perché osa riesumare dalla grande commedia italiana l'inosabile dimenticato: il tragico. Non a caso i tre autori - Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo - su una cosa sono d'accordo: Boris è un "grido di disperazione". Cui fa eco la protesta inscenata in conferenza stampa da un gruppo di ragazzi - riuniti sotto la sigla "il nostro tempo è adesso" - che hanno invitato tutti i presenti a partecipare alla manifestazione in piazza del 9 aprile contro la precarietà e l'abuso di stagisti nelle aziende.Tornando al film, nel raccontare le vicissitudini di una maldestra troupe televisiva tentata dal salto di qualità - realizzare una pellicola da La casta di Gian Antonio Stella e Antonio Rizzo - mette in scena con lucido sarcasmo tare e vizi degli italiani, individuando nel microcosmo dei piccoli studios nostrani uno specchio fedele del paese, popolato da cialtroni, nevrotici, parassiti e un mare di volgarità: "E' un road-movie da fermo in questo pazzo paese che è l'Italia, dove l'eccellenza spaventa", lo descrive Mattia Torre. Boris punta il dito anche contro la commedia italiana che, sottolinea Ciarrapico, "incombe, anche se noi stessi ne facciamo una. Il punto è come viene utilizzata la risata". Più dettagliata la spiegazione di Vendruscolo: "Oggi si fanno tante commedie accondiscendenti, dal sorriso "unto", stereotipato. Noi invece i nostri personaggi non li perdoniamo mai". Anche se, ripetono all'unisono, Boris (prodotto da Wildside in collaborazione con Rai Cinema e Sky) è "un raro, felice esempio di libertà espressiva". Nessuna censura, nessuna pressione: nemmeno quando per impersonare un alto dirigente di Medusa hanno chiamato una scimmia: "Avevamo pensato a uno scimpanzè, ma ci hanno detto che Bingo Bongo, che è ancora vivo e ha 40 anni, è diventato una star ingestibile: praticamente non vuole più condividere il set con nessuno".Ma il tiro al bersaglio è democratico: sulla graticola finiscono dirigenti televisivi (Antonio Catania) che inorridiscono di fronte alla possibilità di essere retrocessi alla "divisione cinema" ("dopo c'è solo la radio, e dopo la radio la morte"), cinepanettoni (esilarante nello sconforto quello "al Polo Nord"), sceneggiatori radical chic che schiavizzano i "topini" mentre giocano a ping pong, autori come Garrone, mostri sacri come Piovani (che perde l'Oscar su un tavolo da gioco) e improbabili soap televisive, una su tutte: Il giovane Ratzinger. L'insostenibile frivolezza di un mondo che addotta un ottuso pesciolino rosso - Boris - e ne fa un totem. Numerosi i camei - Piovani stesso, ma anche Claudio Gioè e Giorgio Tirabassi - e spassosa la satira sullo star system di casa nostra, dove Margherita Buy è diventata - pronunciate con tono di voce impercettibile - Marilita Loy (interpretata da Rosanna Gentili), "la più grande attrice italiana" che sussurra ma non parla, vittima di quella che i tre sceneggiatori/registi chiamano "dittatura dell'insicurezza". Più i volti amati del piccolo schermo: Francesco Pannofino è il regista René Ferretti, Pietro Sermonti è il tronfio attore che vuole a tutti costi fare Gianfranco Fini, Carolina Crescentini la "cagna maledetta" - un'attrice completamente vuota, Corinna Negri - Ninni Bruschetta è il direttore della fotografia Patané, Paolo Calabresi è il coatto elettricista Biascica, Alessandro Tiberi e Caterina Guzzanti i fidi assistenti Alessandro e Arianna. Ce ne sarebbero altri, troppi per citarli tutti: "La prossima volta - dice Ciarrapico - faremo un film di tre ore. E' stato doloroso condensare in un 'ora e quaranta lo spazio dedicato ai nostri personaggi. So che ciascuno di loro soffre per una battuta, una scena tagliata". Vai a capire se si riferisce agli attori del film, o agli attori del film nel film. Conseguenze di un "effetto notte" all'italiana. Mentre fuori è sempre buio pesto.

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