NEWS a cura di Cinematografo.it

Christian Bale e Mark Wahlberg: <i>The Fighter</i>

03 marzo 2011

Pugni di un'altra epica

Wahlberg e Bale fratellastri eccezionali per ribaltare il mito del boxeur in The Fighter. La vera storia di Micky Ward e Dicky Eklund, da domani in sala

"Che dire di mio fratello? Mi ha insegnato tutto quello che so. Non posso farcela senza di lui". Micky Ward, campione del mondo dei pesi welter nel 2000, non lo ha mai dimenticato: se oggi è lui "l'orgoglio di Lowell", gran parte del merito va condivisa proprio con quel fratellastro, Dicky Eklund, che nel lontano 1978 mandò al tappeto una leggenda come Sugar Ray Leonard. Che forse inciampò, ma valse comunque a quel pugile semisconosciuto la notorietà eterna per le strade e i vicoli della cittadina natale, nell'est del Massachusetts. E l'ammirazione incondizionata di un ragazzino deciso ad imitarne le gesta.Segue gli ultimi sette anni di una vicenda straordinariamente ordinaria, The Fighter di David O. Russell, nelle sale italiane da domani, 4 marzo (distr. Eagle Pictures), prendendo le mosse dal documentario che nel 1993 la HBO iniziò a girare su Dicky Eklund (High on Crack Street: Lost Lives in Lowell *) e calando il sipario sul primo piano di Ward, fresco detentore del titolo, inquadrato sul divano di casa da un'altra telecamera pronta a raccogliere la sua storia, poi raccontata anche da Bob Halloran nel libro "Irish Thunder: The Hard Life and Times of Micky Ward". Impossibile scindere il percorso di entrambi, impossibile non rimanere impressionati di fronte al ribaltamento epico di un filone, quello della boxe prestata al grande schermo, che nel film di Russell si compie con violenza e altrettanta naturalezza: non più, non solo, la centralità del pugile protagonista (da Lassù qualcuno mi ama al capolavoro scorsesiano Toro scatenato, da Rocky ad Alì, solo per citarne alcuni), in The Fighter a prendere più volte il sopravvento sul ring sono il contesto e il contorno. La decadenza di un luogo che ha dimenticato da tempo il benessere degli anni dei "blue collar", l'autodistruzione che regola la quotidianità di Eklund (crack-addicted che in Christian Bale trova un interprete monumentale, dalla parlata sbiascicata, ancora una volta dimagrito ed emaciato dopo la spaventosa performance de L'uomo senza sonno), accompagnata all'esaltazione con cui, allenando il fratello, cerca il riscatto di una carriera personale finita male, l'oppressione della madre manager (Melissa Leo, altra grande prova) con esercito di figlie e figliastre al seguito, lo sbocciare di un nuovo amore con la barista emancipata (Amy Adams), mal vista dalla famiglia di lui: ogni fattore, lo scontro tra questi, contribuisce in maniera determinante a tratteggiare la personalità di Micky Ward, asfaltista dal gancio sinistro micidiale, incassatore d'altri tempi capace di subire cazzotti senza rispondere anche per una decina di round e sferrare in una manciata di secondi l'attacco che vale un knock out.Ecco allora che il ring, mai come in questo caso, diventa metafora della vita, spogliandosi della solita veste cinematografica, rarefatta o patinata, per lasciare spazio invece allo "sporco" di riprese in digitale, volutamente "documentaristiche": Mark Wahlberg, anche produttore del film e arrivato ad incarnare Ward dopo un training durato cinque anni, mantiene in costante sottotono la caratterizzazione di un uomo abituato ai colpi di un'esistenza tutt'altro che semplice, in più di un'occasione surclassato dalle personalità eccentriche e ingombranti del fratello e della madre, asfissianti nel continuo tentativo di non mollare neanche di un centimetro il futuro campione del mondo. Nemmeno dal chiuso di una prigione, da dove Dicky segue le gesta di Micky grazie alla cronaca diretta, via telefono, dell'incontro che dà il la alla sua riscossa.A David O. Russell – che sfrutta al meglio la franchezza dello script firmato da Scott Silver, Paul Tamasy ed Eric Johnson – interessa soprattutto questo, la rappresentazione di un cammino verso la gloria spoglio di qualsiasi epica o retorica, fermandosi non a caso "un attimo" prima che il campione diventi leggenda, lasciando al nero di una semplice didascalia il compito di "informare" che successivamente (2002-2003) Micky Ward fu protagonista insieme all'italo-canadese Arturo Gatti di tre indimenticabili, dolorosi incontri, la celebre "trilogia epica". Candidato a 7 premi Oscar (tra cui miglior film e regia), ne porta a casa due: quello per Christian Bale e Melissa Leo, miglior attore e attrice non protagonista, riconoscimento ulteriore dell'enorme impatto che i presunti "comprimari" hanno sulla vita stessa del film.* Il documentario è visibile in rete: www.snagfilms.com/films/title/high_on_crack_street_lost_lives_in_lowell/

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