RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

Phoenix

22 ottobre 2014

Phoenix

Nuova ricognizione di Christian Petzold nella storia e l'identità tedesca. Sempre con la splendida Nina Hoss, in Gala

Berlino, giugno 1945. Tornata viva da Auschwitz con il volto sfigurato, Nelly ( Nina Hoss) si sottopone a un intervento di chirurgia plastica per ricostruire il viso. Molto più complicato però recuperare un'identità che l'orrore dei campi di sterminio le ha strappato via di dosso: si può ancora essere contemporaneamente ebrei e tedeschi nella Germania post-nazista? E' una delle tante questioni sollevate dal film di Christian Petzold, Phoenix (al Festival di Roma nella sezione Gala), con cui il regista di Hilden torna, due anni dopo La scelta di Barbara, a ricucire la trama e l'ordito del novecento tedesco, spostando stavolta le lancette del tempo sul secondo dopoguerra, quello della de-nazificazione.Sempre sostenuto dalla sua magnifica musa, Nina Hoss, Petzold effettua una ricognizione tra teatro e realismo, allegoria e melodramma, che affonda i suoi bracci tanto nel sottosuolo della memoria collettiva - del senso di colpa e della rimozione - quanto in quella dell'immaginario (dalla musica al cinema). Il suo Phoenix è retroillumiato dalle luci rosse e sordide dei cabaret post-bellici, animati da militari ubriachi e angeli azzurri profanati, canzonette equivoche ed evergreen di Cole Porter, luoghi di transito tra la gioia e l'inferno.Ed è in uno di questi posti che si rincontrano Nelly e il marito Johnny (Ronald Zehrfeld), con quest'ultimo che però non la riconosce, prendendola per una che somiglia solo vagamente alla moglie creduta morta nei campi, ma grazie alla quale può ricavare una fortuna: se si spacciasse per la vera Nelly, potrebbe intascare l'eredità della donna e arricchirsi. E Nelly sta al gioco, stuzzicata dalla possibilità di conoscere il marito daccapo e sempre contemporaneamente sul chi va là, nell'intento di scoprire se quello che l'amica Lena (Nina Kunzendorf) le ha detto è vero: fu lui a tradirla e a consegnarla alle SS?Citando smaccatamente La donna che visse due volte - più di un debito anche con Persona di Bergman, soprattutto per l'impronta psicologica - Petzold ancora il racconto a un duplice piano agnitivo (l'uomo riconoscerà la donna? E la donna smaschererà l'uomo?), senza per questo dimenticare la cornice metaforica di Phoenix nella quale vediamo ritratta la Germania: suo il volto sfigurato dal nazismo, sue le prospettive più o meno fondate di rinascita.Un'indicazione allegorica che si sente più che ne La scelta di Barbara e che rischia a tratti di appesantire l'operazione. Non tutti i personaggi poi sono sviluppati a dovere, e quello di Ronald Zehrfeld in particolare resta piatto. Ma la performance della Hoss è come sempre di grande intensità e il finale vale da solo il prezzo del biglietto.

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