RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

99 Homes

29 agosto 2014

99 Homes

Bahrani porta i cocci del Sogno Americano in concorso, con molta partecipazione e qualche esitazione di troppo

C'è ancora qualcosa da salvare del Sogno Americano? 99 Homes di Ramin Bahrani ci dice di no, che probabilmente è tutto finito, ma che l'America può sempre decidere di sognare diversamente, a patto di abbandonare pericolose e illusorie scorciatoie.Bahrami torna in gara a Venezia due anni dopo At Any Price, anche quello un film sulle menzogne dell'American Dream, e sposta la mdp - sempre mobile, sempre elettrica - dai campi di mais delle industrie agricole dell'Iowa alle villette a schiera con giardino della Florida che i loro proprietari hanno acquistato attraverso banche fedifraghe e mutui spericolati. Quando non possono più permettersi di pagare arriva lui, Mike Carver (Michael Shannon), famelico agente immobiliare che, con l'aiuto di due compiacenti poliziotti, procede allo sfratto. Mike è un osso duro, spietato, astuto, che con le case ha fatto i soldi. Il meccanismo è semplice e complicato al tempo stesso - e Bahrani non si preoccupa troppo di chiarirlo - basti sapere che le case che requisisce le ricompra a prezzi stracciati e le rivende ad altri poveracci che probabilmente ricorerranno alle stesse banche che hanno rifilato ai precedenti i mutui di cui sopra. E' un giochino squallido e crudele e ingiusto ma assolutamente legittimo: la legge sta dalla parte del capitale. O come dice Mike al suo promettente discepolo Dennis (Andrew Garfield), "l'America non fa credito ai perdenti".Dennis è il personaggio centrale di questa storia scritta da Bahrani con Amir Naderi. Giovane operaio (Andrew Garfield) senza lavoro - la crisi ha affossato l'edilizia - perde la casa in cui ha sempre vissuto con madre (Laura Dern) e figlio (Noah Lomax) e viene sfrattato proprio da Mike. Il quale riconosce nel giovane però una qualità e una determinazione che farebbero al caso suo: non passerà molto da che Dennis, da sfrattato, si ritroverà a sfrattare, ma per la sua coscienza il prezzo diventerà sempre più alto.La presenza di due star come Garfield e Shannon (e di  Dennis Quaid e Zac Efron nel precedente At Any Price) ci ricordano che il cinema di Bahrani non è più quello off e low-budget dell'inizio (di Man Push Cart e di Goodbye Solo per capirci) ma più "addomesticato" (produce Fox Searchlight). Prova ne sia che l'attacco frontale al sogno di ogni americano - poter diventare qualcuno pure se non sei nessuno (come Mike, che proviene da una famiglia operaia) - viene edulcorato nel finale, in cui il risveglio di una coscienza morale (del singolo e delle istituzioni) appare francamente posticcio. Non funziona a dovere nemmeno il rapporto padre-figlio tra Shannon e Garfield, mai davvero connessi l'uno con l'altro: il primo è un personaggio senza evoluzione mentre il secondo di evoluzioni ne ha fin troppe.Resta a fuoco invece l'attenzione alle periferie e agli umanissimi corpi che le popolano, qualità principale del lavoro di Bahrani insieme alla sua capacità di costruire scenari narrativi palpitanti, vicini, veri; e di farci entrare nel mondo dei suoi personaggi senza il bisogno di dirci tutto (non sapremo mai perché la Dennis è stato lasciato dalla madre di suo figlio), ma lasciandoceli incontrare così come sono, in un momento particolare della loro vita, e della nostra.

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