RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

Glenn Close in Albert Nobbs

09 febbraio 2012

Albert Nobbs

Glenn Close sugli scudi. Ma il suo trasformismo non basta: l'estetica è anonima, il racconto stanco

Un vestito fiorato, da donna. Una breve corsa sulla spiaggia, dopo l'evidente disagio e la goffaggine nell'indossarlo in mezzo alla strada, tra i passanti. È in questa sequenza, la più significativa del film, che Albert Nobbs racchiude il senso profondo dell'opera, tratta dalla storia breve di George Moore, già portata a teatro da Glenn Close, poi adattata per lo schermo dalla stessa attrice insieme a John Banville e Gabriella Prekop.Nell'incontestabile, oggettiva impossibilità per il mite Albert – ruolo che è già valso alla Close la nomination al Golden Globe – maggiordomo del Morrison's Hotel nella Dublino del XIX secolo, di "ritornare", anche solo privatamente, donna: l'inganno, la scelta di essere uomo, maturata anche in seguito ad una violenza subita in tenera età, il nascondersi al mondo finiscono per separarla definitivamente anche da se stessa. Il film di Rodrigo Garcia ragiona fondamentalmente su questo, ma non riesce ad elevarsi, a raggiungere emotivamente lo sguardo: e il sogno di Albert (motivato da interesse o reale sentimento?), sposare la giovane collega Helen (Wasikowska), muore insieme all'interesse dello spettatore. Fiaccato da un incedere stanco e da un'estetica del racconto anonima.Candidato a tre Premi Oscar: Miglior trucco, miglior attrice (Glenn Close) e miglior attrice non protagonista (Janet McTeer).   

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