RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it
27 ottobre 2011
Quando la notte
La Comencini parte bene ma si perde per strada, barattando un buon thriller psicologico con un melò sgangherato
All'inizio Quando la notte è un thriller: c'è uno chalet isolato, un proprietario taciturno e sospetto, (Filippo Timi), una madre con i nervi a fior di pelle (Claudia Pandolfi), un figlio che piange e piange. La nostra memoria va ai fatti di cronaca (Cogne?). Mezz'ora scandita da un tempo interiore. Fatto di dettagli, rintocchi, vita in una stanza. Contrappuntata da una natura ruvida, imperturbabile. La montagna.La Comencini trattiene il rumore di fondo delle immagini, semina indizi, ci prepara. Qualcosa di inaudito sta per accadere. E in effetti accade, ma al film.La tensione di due solitudini che si sfiorano si squaglia nel vecchio adagio degli amanti; l'orrore di una maternità che logora nel divampare di una passione che infiamma; il cinema di corpi e di sguardi in uno ricamato e fasullo. L'economia del dettaglio diventa sperpero simbolico. I dialoghi hanno l'alito rosa della letteratura, la musica rimbomba, i volti s'irrigidiscono dentro una smorfia di plastica. La storia va in analisi e ci resta.Nel momento in cui i due protagonisti salgono su - al rifugio - il film precipita. Come se nel tentativo di traghettarlo dal thriller al mélò, la Comencini inciampasse nella commedia. Atterrando su un campo di risate.
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