RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Vallanzasca - Gli angeli del male</i>

19 gennaio 2011

Vallanzasca - Gli angeli del male

Convince Kim Rossi Stuart, meno il film. Superata la polemica, resta il dubbio: banalità del male o del cinema?

Ha torto Michele Placido: non sarà ovviamente per la bellezza del protagonista ("Certa stampa non ama gli attori belli", si era lasciato scappare al Lido) se la critica storcerà il naso di fronte al suo Vallanzasca - Gli angeli del male. Almeno per quanto ci riguarda, i difetti del film sono altri, la maggior parte dei quali attanagliano da sempre il cinema dell'attore pugliese.Nel ripercorrere la parabola del più famoso dei banditi italiani (la sceneggiatura di Placido e Kim Rossi-Stuart è tratta dall'autobiografia di Vallanzasca, Il fiore del male, scritta dal bandito con Carlo Bonini), Placido utilizza un procedimento già adottato in Romanzo criminale: quello dell'accumulo. Non una "carrellata" di episodi - che farebbe ancora pensare a una fluidità di montaggio e di accostamenti - ma l'affastellamento di momenti narrativi forti, assordanti (la colonna sonora, dei Negramaro, non s'interrompe mai per tutta la durata del film), virati - meglio, sporcati - in blu. Il regista conferma il suo disprezzo per i campi lunghi, effetto di un'allergia conclamata per le distanze, di spazio e di critica. Nessun respiro, cinepresa incollata al corpo degli attori (convincono però Kim Rossi Stuart e Francesco Scianna, mentre delude Timi, eccessivo oltre ogni sopportazione), montaggio a mitraglietta, e la ritmica interna all'immagine delegata ogni volta al crescendo di un atto violento.Dal frullatore rimane fuori il contesto socio-politico. Potrebbero essere gli anni settanta come i duemila, e del resto che importa? Il tema vero - questo sì pericoloso, alla faccia del solito polverone polemico sollevato da associazioni e "giornalai" (definizione giustificata dalla mutazione in cui è incappata certa stampa italiana, sempre prona ad assecondare polemiche che si commentano da sole) - non è la fascinazione per il male, ma la banalità di un cinema che si professa coraggioso quando è solo esagitato e compiaciuto. Tipico del metodo Placido: mirare alla critica per colpire il pubblico. Temiamo che anche stavolta sia andato a bersaglio.

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