RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Una vita tranquilla</i>

09 novembre 2010

Una vita tranquilla

Non solo Servillo: Cupellini affronta il dramma di genere a testa alta, in Concorso. Ma paga lo scotto di alcuni snodi inverosimili

"Domani mattina parti per Amburgo. Ti tagli la barba, ti fai crescere i capelli, impari il tedesco e lavori tutto il giorno. La sera vai a letto presto, devi diventare un fantasma. E tra un anno cambi lavoro. Se tutto va bene avrai una vita tranquilla". Rosario lo sa, per sopravvivere e tutelare quel figlio ora cresciuto, d'altronde, quindici anni prima aveva lasciato la Campania, la moglie e il bambino, per nascondersi in Germania, rifarsi un nome (il primo, quello vero, era Antonio De Martino), una famiglia, una vita. Ma nell'albergo-ristorante tra i boschi che ora conduce, l'arrivo a sorpresa di Diego, suo figlio, e del "collega" Edoardo, rimette seriamente in discussione quel lungo periodo di copertura: quel passato che sperava si fosse scordato di lui è tornato a riprenderselo.Ha più di qualche merito l'opera seconda di Claudio Cupellini, Una vita tranquilla: primo tra questi, il sapersi rivolgere allo spettatore senza costringerlo ai soliti, didascalici prologhi o eventuali pregressi dei personaggi principali. Del resto, insieme a Toni Servillo - bravo davvero ad incarnare il conflitto interiore di un uomo con un passato da nascondere e un presente da difendere, a mischiare con naturalezza parlata napoletana e lingua tedesca - e ai due esplosivi giovani camorristi (Marco D'Amore e Francesco Di Leva, rabbia e rancore trattenuti uno, istintivo e folle l'altro, entrambi da continuare a tenere d'occhio), il protagonista vero del film è proprio quell'ombra, strisciante e pesantissima, di un'epoca invisibile ma impossibile da dimenticare, comunque onnipresente e viva, ben resa dall'impianto di una sceneggiatura (Gravino, Iuculano, Cupellini) che dà il meglio di sé nella prima parte del racconto. I problemi, paradossalmente, si presentano dopo, proprio insieme al definitivo arrivo sulla scena di quel passato fino ad allora solamente sussurrato: la camorra torna a prendersi Rosario, e con lui il film, dando il via ad un'escalation di avvenimenti inverosimili (possibile nessuno si accorga dell'improvvisa sparizione di Edoardo? Possibile davvero che i sicari, in macchina, non riescano ad arrivare all'autogrill di Teano dove è rimasto Mathias, il figlioletto di secondo letto di Rosario, prima del loro bersaglio, appiedato e ferito?...). Interrogativi che rimangono senza risposta, come il nuovo "futuro" del protagonista, nascosto dietro il finestrino di un pullman. Confidiamo invece in un'avvenire luminoso per Cupellini, che dopo il leggero, seppur gradevole Lezioni di cioccolato, si confronta con il dramma di genere a testa alta, con buone idee di messa in scena e qualche dolly di troppo. Non ne risentono comunque le atmosfere del film, terzo tra i titoli italiani in Concorso al Festival e, in attesa di Guido Chiesa, di sicuro il più convincente.

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