RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Les Petits Mouchairs</i>

29 ottobre 2010

Les Petits Mouchairs

Tra Truffaut e Kasdan, la commedia umana di Canet semina menzogne e raccoglie verità. Grande prova d'attori, Fuori Concorso

Non dice nulla di nuovo Les Petits Mouchairs, ma in fondo a chi importa? Caso in Francia, dove ha già sbancato il box office, "le piccole bugie" del nuovo film di Guillaume Canet - il terzo da regista per l'attore transalpino, compagno di vita di Marion Cotillard - convincono più di una verità detta male. Se le raccontano un gruppo di amici in vacanza al mare, nonostante un loro vecchio compare sia rimasto a Parigi, in terapia intensiva, indeciso tra la vita e la morte. Nessuna condanna. Comprensione tanta invece, e per ciascuno: una ninfomane che ha solo paura di amare, un uomo di successo eccessivamente gretto e irascibile, un padre di famiglia in tentazione, uno scapolo logorroico ed egocentrico, un avventuriero incapace di asservire l'onore al cuore. Personaggi di una commedia umana meravigliosamente triste.Come tanti soggetti in cerca di autore, le bugie di Canet sono il copione da recitare agli altri e a se stessi, un modo per schivare l'insostenibile bassezza dell'essere, perché nessuno sopravvive se si guarda dentro, come è realmente. E allora eclissi di parola e parole a vanvera, sguardi fissi e altrove, e inutili gesti e spontanei, anticamere di autenticità. Performance attoriali appunto, in un film che sin dal titolo si dichiara colpevole di proferire menzogne per dire verità. Forza del teatro e del cinema. E di un gruppo straordinario di interpreti che non recita, ma vive una recita. Dategli una maschera e avrete onestà: Francois Cluzet, Marion Cotillard, Benoit Magimel, Gilles Lellouche, Laurent Lafitte, Jean Dujardijn, Valerie Bonneton, Pascal Arbillot, Anne Marivin, Louise Monot, Joel Dupuch e Hocine Merabet. Li chiameremmo per nome e cognome tanto si assottiglia la soglia della vita e della finzione.Simulazione del vero dove nulla è fuori posto, e ogni cosa prevista sembra lasciata al caso. Se la cornice narrativa ricorda Il grande freddo di Kasdan, il quadro è un tableaux vivant di rara freschezza rubato a Truffaut e Cassavetes, e in generale al cinémà-veritè degli anni '70. Canet ci ha messo più cuore che arte e, sì, troppo tempo (oltre due ore e mezza). Ma è il pedaggio di un cinema provvisorio e sincero, rifinito sulla decisione del momento.Non mancano scene madri, strizzatine d'occhio e sviolinate in musica (la colonna sonora pesca un po' ovunque e ci prende quasi sempre). Ma va bene così. Conta stare lì, in mezzo a loro, saggiarne virtù e segreti, miserie (tante) e nobiltà (poche). Conta scoprire quale prezioso profilo cubista abbia la loro, la nostra, vita. E quale insegnamento, al diamine il resto, possa nascondere una storia senza morale: ama la verità ma perdona l'errore. L'aveva detto un francese, no?

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