RECENSIONE FILM a cura di Cinematografo.it

<i>Post Mortem</i>

27 ottobre 2010

Post Mortem

Larraìn riduce il cupio dissolvi della storia cilena a operazione chirurgica. E alla fine inabissa tutto: paese, memoria e cinema

La grande intuizione di Post Mortem è la scelta dell'obitorio come location. E il merito di Pablo Larraìn (Tony Manero) la capacità di farne esplodere le metafore, elevandolo a luogo simbolico in cui il corpo dissezionato dei cadaveri è l'anatomia di un paese, il Cile, alla vigilia del golpe militare del '73. Larraìn utilizza la cinepresa come un bisturi, scava nei recessi della nazione, scruta dentro le sue viscere. Vi trova una realtà indecifrabile, impossibile da ricomporre: la continua variazione dei piani e degli angoli di ripresa finisce per dissolvere rapporti e geometrie dello spazio. E il tempo è sospeso, smarrito. L'indecisione del punto di vista è il corollario formale di una realtà divenuta opaca, irriconoscibile.L'ottuso enigma della materia - finestre, porte, suppellettili - sfonda il primo piano. Cosa tra le cose è anche Mario - Larraìn ritrova il bravissimo Alfredo Castro, già protagonista di Tony Manero - dattilografo incaricato di battere a macchina le relazioni autoptiche realizzate dai medici forensi. Tra i cadaveri, è un morto vivente anche lui. Una nullità che gli altri quasi non vedono. Larraìn invece non lo perde di vista un attimo, senza per questo svelarne l'enigma, trovarne un briciolo di profondità. Tutto è superficie in lui.Uomo senza qualità, cercherà riscossa prima nell'amore di una donna, Nancy, poi nell'incarico che i militari gli affidano: trascrivere con gelida applicazione l'avvenuto decesso dei nemici della nazione. Il cupio dissolvi della storia si riduce così a un'operazione chirurgica. Post Mortem è un pamphlet politico camuffato da saggio esistenzialista. Un passaggio allucinante dall'abisso del soggetto al vuoto di stato: il cerchio si chiude, letteralmente, quando i medici finiscono di ricucire il cadavere di Allende, e la verità sparisce dentro il fantoccio ricomposto di un paese ammazzato. Nell'estenuante finale l'immagine - il cinema - sprofonda sotto una montagna di cose. Ammassata, occlusa e sepolta nello schermo nero della memoria.

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