RECENSIONE FILM

<i>Another Year</i>

15 maggio 2010

Another Year

a cura di Cinematografo.it

Mike Leigh sulle tracce della terza Palma d'Oro: non un capolavoro, ma quattro stagioni intimiste e familiari buone per la vittoria

Primavera, Estate, Autunno, Inverno. Dopo Kim Ki-duk, sono le quattro stagioni dell'inglese Mike Leigh, quelle di un altro anno trascorso, anzi da trascorrere sullo schermo: Another Year, in concorso a Cannes 63. Protagonisti, Tom (Jim Broadbent) e Gerri (Ruth Sheen), felicemente sposati, lei psicologa, lui ingenere geologo, attorno a cui ruotano Mary (Lesley Manville), collega di Gerri, sovente ubriaca, per il resto tristemente svampita; il figlio Joe, 30 anni e senza una donna; l'amico di Tom, Kenni, pure lui col gomito alzato e la vita sola; Katie, una terapista che si fidanza con Joe; il silente fratello maggiore di Tom, Ronnie, che perde la moglie, e il suo figlio aggressivo, Carl. Tra qualche esterno e molti interni, sono le loro variabili geometrie relazionali a occupare, intersecare, frastagliare il nuovo lavoro scritto e diretto da Leigh, gia' due volte Palma d'Oro (Naked nel '94, Segreti e bugie nel '96) e con qualche buona possibilita' di centrare il tris, in una competizione finora poco esaltante. Se le atmosfere intimiste e familiari fanno immediatamente pensare, appunto, a Segreti e bugie, il paragone e' sfavorevole ad Another Year: film essenzialmente di personaggi e meritoriamente di grandi attori, che proprio nella suddivisione in capitoli stagionali cerca quell'ubi consistam che narrativamente non e' agevole riscontrare. Formula che vince non si cambia, ok, ma se il Leigh versione 2010 e' il migliore da anni (Il segreto di Vera Drake, Happy Go Lucky) a questa parte, cio' non basta per farne un capolavoro. Amore e tenerezza, gioia e tristezza, speranza e disperazione, tutto viene messo in ironica, colta e piacevole centrifuga: ma se lo stile non viene meno, le storie finiscono per languire in una esemplarita' paradigmatica che perde in coerenza drammaturgica e pathos drammatico. E soprattutto va a cozzare con l'intenzionale - almeno a giudicare dal titolo - quotidianita' e indefinibilita' del ritratto: Another Year non dovrebbe essere un altro anno come tanti, senza un'indicazione simbolica? Certo, ad averne di difetti simili, perche' Leigh conferma il suo valore, ma lasciando qualcosa per terra, a partire da Ken, che viene abbandonato ma, siamo sicuri, ne avrebbe combinato delle belle e dalla casalinga insonne Imelda Staunton, che apre il film, ma non lo chiude. Note a margine, ma di disappunto.

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