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Recensione

05 Set 2009

Domaine

a cura di Cinematografo.it

Béatrice Dalle e la sfida del tempo che passa: alla SIC un'opera labirintica per rimanere incantati o soccombere terrorizzati


Béatrice Dalle è stata la musa inquieta di giovani autori destinati a diventare di culto come l'interprete ideale di molti registi già consacrati. Impossibile dimenticare la sua folgorante prima apparizione in Betty Blue di Jean-Jacques Beineix: era il 1986 e nonostante la giovane età emanava un fascino da diva tutta genio e sregolatezza. Molti anni e molti film dopo, la Dalle resta un'attrice sensibile agli stimoli fuori dall'ordinario, aperta alle novità e in grado di mettere in discussione la propria immagine anche a rischio di perdere la consueta aura di femme fatale. Va in questo senso la scelta di interpretare Domaine, opera prima del regista di origini austriache ma naturalizzato francese Patric Chiha, presentato alla Settimana della Critica. Un film difficile, che le regala un ruolo ricco di sfumature costringendola però a fare i conti con il tempo che passa, la bellezza che sfiorisce, il fascino che si appanna. Una sfida che Dalle vince dando vita da par suo alla figura di una matematica nevrotica e tendente all'alcolismo, legata al giovanissimo nipote da un legame morboso, ma non incestuoso come sarebbe sin troppo facile pensare. I due vivono all'inizio un rapporto in cui lei è la carnefice e lui la vittima, ma nel corso della vicenda i ruoli si fanno via via più sfumati fino a un drammatico epilogo. Chi domina chi? Con quali armi si esercita il dominio cui il titolo fa riferimento? Il film non tenta alcuna risposta ma si limita a seguire i meandri della mente di Nadia e Pierre, analizzati come un meccanismo che risponde a precise regole matematiche. Il dominio è anche infatti quello dei numeri, terreno affascinante di indagine non meno della mente umana. Come affascinate è questo film labirintico, dove ci si può perdere incantati o soccombere terrorizzati dal peso delle domande esistenziali che pone. Domaine è insomma una di quelle opere intellettuali che richiede la partecipazione di uno spettatore attivo, mentre è difficile che possa ammaliare chi è in cerca di facili emozioni. Ma il cinema è anche questo: composizione perfetta, estrema ricerca formale, profondità di significati.

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