Recensione
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16 Apr 2009
Disastro a Hollywood
Commedia (in)umana per Barry Levinson. Che fa meta-cinema e auto-critica: con De Niro, Willis e un mood nichilista
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Giudizio: OOOOOC'era un volta la grandeur hollywoodiana, e c'è ancora: ma è Sunset Boulevard, e i tramonti sono quotidiani. Così in una settimana si consuma quello – definitivo? – di Ben (Robert De Niro), produttore à la page, due mogli alle spalle, la voglia di riconquistare la seconda (Robin Wright Penn) e una figlia che scopre Lolita di un agente suicida, che troviamo alle prese con un Bruce Willis restio a tagliarsi la barbona e Sean Penn che muore ammazzato (con cane annesso) nel film di un inglese schizzato destinato ad aprire Cannes.
Ne succederanno di tutti i colori, ma senza strafare, anzi: è un mood nichilista quello che percorre Disastro a Hollywood, partorito da una delle menti più geniali – anche a mezzo servizio, e non è questo il caso – del cinema stelle & strisce: Barry "Rain Man" Levinson. Invertendo palco e quinta, ovvero portando sotto i riflettori il backstage e il retrobottega in cui sguazza da anni, Levinson fa meta-cinema e auto-critica, cercando costantemente l'effetto-notte, quello che nessuna star può illuminare del tutto.
Il risultato? Una commedia (in)umana, in cui le risate hanno sempre la bocca storta e le ville sfarzose le abitano i divorzi. Hollywood Ending? Forse, ma è un buon inizio.