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Recensione

17 Apr 2008

10 cose di noi

a cura di Cinematografo.it

Morgan Freeman cambia ruolo e rifà se stesso. Con Paz Vega, in un elogio alla leggerezza che sarebbe piaciuto a Calvino


A settantun'anni suonati Morgan Freeman perde peso. Metaforicamente parlando. In 10 cose di noi la performance dell'interprete afroamericano sfida le leggi di gravità e spazza via la polvere di una carriera solida, e anche solita. L'autista (A spasso con Daisy), il Presidente americano (Deep Impact), il detective (Seven, e altri), quante volte Freeman ha rifatto il trucco senza cambiare faccia? Contrito e saggio eroe americano. Stavolta no, repetita non iuvant. S'imbarca in un progetto low-budget, abbandona gli studios e rifà se stesso. All'anagrafe è semplicemente "Lui": un attore di successo, inoperoso da quattro anni, incerto se girare un indipendente. Gli propongono una particina, quella del direttore di un supermercato. Prima di decidere, meglio fare un sopralluogo, osservare. Capita nei sobborghi di Carson, periferia etnicamente mista di Los Angeles. Un drugstore a conduzione fallimentare: con boss a casa (una specie di John Barrymore in vestaglia), un vicedirettore sordo e di commessi neppure l'ombra. Rimane Scarlet - Paz Vega, la nuova Penelope Cruz? - una cassiera latina da "massimo 10 pezzi" (da qui il titolo originale 10 Items or Less), di mano efficiente, testa svelta, lingua biforcuta. Le simpatie di Freeman sono tutte per lei. Quelle della donna per nessuno. Ma un'intera giornata passata insieme, un mucchio di chiacchere e l'on the road verso casa li renderanno più vicini e forse più prossimi alla vita. Primo film nella storia legalmente scaricabile da internet, poco più di ottanta minuti, soffice come un lenzuolo di neve e abbacinato dal sole californiano. La prima prova indipendente di Silberling (Casper, City of Angels) è una carezza che arriva in sala due anni dopo la sua realizzazione. Metacinematografico, non fine a se stesso, simpatico più che divertente, con la gradita sorpresa di un Freeman istrionico e soave. Un elogio alla leggerezza che sarebbe piaciuto al Calvino delle Lezioni americane, con un maestro di finzione che insegna la vita a una ragazza cresciuta a pane e quotidiano. Lezioni d'attore, con leggiadria calcolata e mai frivola, perché "la leggerezza si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l'abbandono al caso". Arte del vivere: interpreti dell’esistenza, bravi ad entrare "nella" parte e pronti ad uscire dall'altra, dentro e fuori le cose, vicini e lontani. Cinema minimal, ma di grande saggezza.

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