Guarda lontano la sezione veneziana che prende, il posto del fu Controcorrente, concorso di supposta serie B. E lo fa con opere personali, affascinanti e senza peccare di accademismo retrò. Cominciamo dal francese vincitore
Les petits fils. Sicuramente tra i titoli più interessanti di Orizzonti, il film di
Ilan Duran Cohen è una ricognizione dell¿anima che evita il minimalismo sfociante nella riflessione filosofica, e segue invece la pista di un quasi documentario in presa diretta, intimista, racchiuso in uno spazio temporale che non ha limiti precisi. Le mura casalinghe fanno da recinto e sponda per il giovane Guillaume, sua nonna Régine, e l¿urna, posata sul balcone, con le ceneri della madre morta di cancro. Difficile uscire da questa cappa luttuosa se non tentando uno strappo, un ultimo sfogo, un pianto liberatorio. Dolci e soavi, pur mantenendo una certa crudezza visiva come marchio di fabbrica, anche due maestri del maledettismo doc:
Gregg Araki con
Mysterious Skin e
Shinya Tsukamoto con
Vital. Il primo ricompone i tasselli delle vite di due diciottenni di una provincia americana qualsiasi, legati, loro malgrado e violentemente, nell¿iniziazione alla vita e al riconoscimento delle proprie pulsioni sessuali; il secondo è un romantico racconto sull¿amore che relega all'ellissi del cuore tutto il discorso sullo stridore tra carne umana e spezzoni di moderna oggettistica tecnologica. Peculiare anche lo sguardo di
Robin Campillo. I suoi zombi non corrono a perdifiato per divorare carne umana, anzi
Les revenants è una metafora sul dramma dell¿immigrazione e allo stesso tempo pamphlet che invita a riflettere sull¿inevitabilità della morte e sull¿elaborazione e annesso superamento del lutto. Ancora da citare il divertente road movie dell¿argentino
Trapero,
Familia rodante; lo struggente film della marocchina
Kassari,
L¿enfant endormi (racconto al femminile sul senso della vita e sulla libertà di scelta);
I tre stati della malinconia, della finlandese
Honkasalo, paradigmatica esposizione del concetto universale significato di ingiustizie. Infine la truppa italiana che ha ben figurato soprattutto con l¿opera prima di
Francesco Munzi,
Saimir: rude esposizione della volontà del giovane protagonista di scappare e denunciare l¿ammasso delinquenziale di una gang di mafia albanese e di una necessaria emancipazione familiare.